Mosca (Sin): «Molte donne in gravidanza, per la paura di contrarre il virus, hanno rinunciato a controlli fondamentali per il buon esito della gestazione, aumentando il rischio di mettere al mondo bambini senza vita. Ma questi timori sono infondati: gli ospedali sono sicuri»
Raddoppiano i bambini prematuri messi al mondo da donne positive al Covid e triplicano i piccoli nati senza vita durante la pandemia, anche tra le mamme che non hanno mai contratto il virus. «L’incremento dei parti pretermine al 19% si riferisce alle sole donne Covid-positive. In tutti gli altri casi, i nati prematuri sono stati il 7% dei nati vivi, percentuale stabile rispetto allo scorso anno, nonostante molti esperti speravano che il riposo imposto dalla pandemia potesse, al contrario, avere un effetto benefico sulle gravidanze». Ad illustrare i dati del Registro nazionale della Società Italiana di Neonatologia è Fabio Mosca, presidente della stessa Società scientifica, in occasione della Giornata dei prematuri che si celebra tutti gli anni il 17 novembre.
Oltre alle conseguenze dirette sulle donne che hanno contratto il Covid-19, la pandemia ha avuto degli effetti negativi anche sulle gestanti che non sono entrate in contatto con il virus. Che dall’inizio della pandemia il numero di bambini venuti alla luce senza vita sia triplicato, così come dimostrato da uno studio condotto nel Lazio e da diverse ricerche internazionali, infatti, è probabilmente dovuto al timore diffuso di recarsi in ospedale per effettuare le visite necessarie: «È fondamentale che la donna in gravidanza si sottoponga a tutti i controlli previsti dalle linee guida. Saltare anche un solo appuntamento può mettere a rischio la salute di mamma e bambino. Così come – aggiunge Mosca – stili di vita scorretti, in primis alcol e droga, possono aumentare le possibilità di mettere al mondo un bambino in un’epoca gestazionale prematura».
Età della donna e infiammazioni del tratto genito-urinario sono altre condizioni che possono dar origine ad una nascita prematura. «Oggi, in Italia, l’età media della donna che dà alla luce il primo figlio è 32 anni – racconta Mosca -. Le madri francesi, invece, alla stessa età stanno già progettando il secondogenito. Spostare in avanti le lancette della prima gravidanza aumenta il rischio di non riuscire a restare gravide e quindi di rivolgersi alla procreazione medicalmente assistita che, a sua volta, fa crescere le possibilità di prematurità, soprattutto nel caso di nascite gemellari che, nella maggior parte dei casi, determinano un anticipo della nascita. Altra causa da cui possono originare parti pretermine sono le infiammazioni del tratto genito-urinario – spiega il presidente della Sin -. Motivo per cui anche il Covid, un virus pro-infiammatorio, aumenterebbe il numero di nascite premature».
In alcuni casi, i parti pretermine tra le donne Covid-positive sono stati indotti per motivi medici. «Se una gestante tra la 32esima e la 35esima settimana, affetta dal virus, presenta sintomi gravi come insufficienza respiratoria e febbre alta, è prudente accelerare il parto, per tutelare la sua salute e quella del suo bambino», sottolinea il neonatologo.
Ma un dato rassicurante c’è: la maggior parte dei bambini nati in anticipo dal grembo di donne contagiate dal virus non presentano una prematurità grave: «Vengono alla luce tra le 34 e le 37 settimane – spiega Mosca – epoca gestazionale, di solito, meno problematica da gestire».
«Si definisce prematuro il bambino nato prima della trentasettesima settimana di gestazione – dice il presidente della Sin -. Ma è nella categoria di bambini che nascono prima della 28esima settimana che si configurano i rischi maggiori e sono loro che grazie ai passi in avanti della medicina hanno maggiore possibilità di sopravvivere. Ma – aggiunge lo specialista – è doveroso non dimenticare che questo tipo di prematurità è una malattia grave. Ci sono neonati che nascono con un’immaturità di tutti gli organi e gli apparati e che pertanto hanno bisogno di cure intensive in posti altamente specializzati. Non sempre gli esiti sono postivi: il 25% dei bambini nati a 25 settimane non sopravvive. Più in generale, i bambini nati con un peso inferiore al chilo e mezzo restano in vita nel 90% dei casi, valori raddoppiati rispetto agli anni ’60» .
Le chance di sopravvivenza e gli esiti delle cure migliorano se il bambino prematuro nasce in ospedali attrezzati: «In Italia ci sono 114 terapie intensive neonatali – dice Mosca – ed è necessario centralizzare i parti pretermine in queste realtà. I reparti italiani, grazie alla disponibilità di attrezzature e farmaci moderni, sono considerati di eccellenza internazionale. Ma sono i genitori a dover contribuire all’efficacia dell’assistenza: in oltre il 65% delle terapie intensive neonatali italiane è garantito l’accesso alle mamme ed ai papà 24 ore al giorno (dati pre-Covid). Ora, l’obiettivo è di estendere questa possibilità al 100% dei reparti d’Italia poiché – conclude il neonatologo – i genitori non sono dei semplici visitatori, ma un tassello insostituibile per il buon esito del percorso di cura».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato