Salute 22 Novembre 2021 10:32

Apnee ostruttive del sonno, a cosa deve fare attenzione un odontoiatra per riconoscerle in adulti e bambini?

Intervista al professor Luca Levrini, odontoiatra dell’Università degli Studi dell’Insubria di Como e Varese

Apnee ostruttive del sonno, a cosa deve fare attenzione un odontoiatra per riconoscerle in adulti e bambini?

In medicina esistono patologie che devono essere «particolarmente attenzionate» perché «non percepite», pur rappresentando, «da un punto di vista epidemiologico», un numero «molto elevato di casi che hanno conseguenze sulla salute determinanti».

Tra queste ci sono sicuramente le apnee ostruttive del sonno (Osas). «Su queste – spiega il professor Luca Levrini, odontoiatra dell’Università degli Studi dell’Insubria di Como e Varese –, è importante fare una differenza tra adulto e bambino», in quanto «quelle che colpiscono questi ultimi non sono assolutamente da sottovalutarsi. Anche perché, da un punto di vista eziopatogenetico, la presenza di Osas negli adulti è una condizione che si manifesta con segni magari impercettibili nel bambino».

L’Osas nei bambini

Come diagnosticare le apnee ostruttive del sonno nei bambini? Quel che c’è da fare, secondo il professor Levrini, è «andare a cercare quelle che potrebbero essere situazioni cliniche che possano far pensare che ci possa essere qualcosa di correlato all’Osas. Tra queste, senza dubbio il fatto di avere quella che noi odontoiatri chiamiamo “incompetenza labiale”, ovvero labbra che non si toccano. Se, ad esempio, quando il bambino guarda la tv ha la bocca prevalentemente aperta, significa che respira dalla bocca e quindi che non riesce a farlo bene dal naso. Segno, questo, che potrebbe significare che la notte può andare in apnea».

Un altro segnale da prendere in considerazione è l’irritabilità: «Se un bambino durante la notte va in apnea ha una qualità del sonno bassa. Così insufficiente che non riesce a raggiungere quella che chiamiamo “fase di sonno profondo”». In questo caso si innesca un meccanismo secondo il quale il bambino «si sveglia, va a scuola, fa i compiti e così via. Poi arrivano le 5-6 del pomeriggio e il bambino è esausto, stanchissimo». Nei bambini questa stanchezza «si manifesta in maniera diversa rispetto all’adulto. Diventa infatti nervoso, collerico, irritabile. E questa non capacità del bambino di gestire la sonnolenza viene interpretata da parte dei genitori come iperattività».

Altro segnale da notare è la disposizione delle coperte quando il bambino si sveglia. «Se dorme bene e non si agita durante la notte, la mattina le coperte saranno nella stessa posizione della notte precedente. Se invece ha costantemente un sonno agitato e presenta apnee si scopre e le coperte cadono».

Ecco, tutti quelli elencati dal prof. Levrini sono segnali che potrebbero indicare che un bambino va in apnea durante la notte. Ma una volta raccolti gli indizi che portano verso questa conclusione, cosa fare? «L’unica cosa da fare, che poi è la stessa che si fa con gli adulti, è fare una polisonnografia», e quindi andare a “pesare” le apnee che si hanno durante la notte. Per quanto riguarda i bambini, «anche una sola apnea all’ora è ritenuta patologica». Se effettivamente viene rilevato un problema di questo tipo, bisogna ovviamente intervenire: «Non si può essere miopi e aspettare che la situazione migliori da sola. Bisogna intervenire perché il bambino ha una bassa qualità di vita ma soprattutto perché molto probabilmente svilupperà lo stesso problema da adulto ma con potenza terapeutica ridotta».

L’Osas negli adulti

Negli adulti si può parlare di comorbidità spesso presenti in associazione alle Osas. Prima fra tutte, il bruxismo dinamico, ovvero il digrignare i denti: «É importante sapere di questa correlazione – spiega Levrini –, perché se un paziente mi dice che digrigna i denti e magari vedo segni di usura sulla sua dentatura, gli chiedo se gli capita di sentirsi stanco durante il giorno. Questo perché la stanchezza è uno dei sintomi più frequenti correlati alle apnee notturne». E così come il bambino diventa “collerico” a causa della stanchezza, all’adulto viene sonnolenza.

Il partner può “ascoltare” le eventuali apnee durante il sonno. Può capire se la persona che dorme al suo fianco soffre di apnee innanzitutto «se ad un certo punto non respira più», ma anche, e soprattutto, «nel momento in cui riprende a respirare, producendo un rumore molto forte, un russare molto fragoroso. Ecco, se una persona prende a russare in modo fragoroso all’improvviso, dal silenzio, vuol dire che poco prima era in apnea. Tale ruolo può essere anche del genitore che deve ascoltare ed osservare il proprio figlio durante la notte».

Se dunque un paziente presenta sonnolenza, bruxismo dinamico e il partner riferisce al medico di sentire questo forte russare durante la notte, si deve procedere con la polisonnografia. Con la differenza, in questo caso, che «si ritiene patologico un paziente che va in apnea cinque volte in un’ora».

I dati sull’Osas

«I dati epidemiologici su tutta la popolazione sono ovviamente diversi a seconda dei parametri che si prendono in considerazione. Si parla di circa il 4-5%. Se andiamo però ad individuare, ad esempio, la categoria del “maschio, adulto e sovrappeso”, la percentuale può arrivare al 40-50%», spiega Levrini. Con quali conseguenze? «Ci si espone ad un rischio cardiocircolatorio importante, senza considerare che la sonnolenza riduce la qualità della vita, la qualità del lavoro e, purtroppo, è la causa principale di molti decessi. Si calcola che il 24% degli incidenti stradali mortali in autostrada sia dovuta a sonnolenza da apnee ostruttive notturne».

Ma quanti pazienti sono attualmente in cura? Anche qui, «i dati sono disarmanti perché ci troviamo di fronte ad una malattia non percepita. Il paziente può addurre la sonnolenza a stanchezza, stress… e invece no, la causa sono le apnee». Per il professor Levrini è «importante puntualizzare che il sonno non è fatto di quantità ma di qualità. Si può dormire anche per dieci ore e non aver, in realtà, “dormito per nulla” a causa delle apnee, così come si può dormire quattro ore ed averlo fatto in modo perfetto e svegliarsi rigenerati». Questo accade perché, come detto prima, «a causa delle apnee non si raggiunge mai la fase di sonno profondo che è indispensabile per far riposare cervello, muscoli e cuore».

Cosa può fare un odontoiatra per capire se un paziente è affetto da Osas?

Un odontoiatra, al pari degli altri medici, «ha nell’anamnesi un riferimento importante. L’odontoiatra è definito “sentinella diagnostica” di questo problema perché è un operatore sanitario estremamente diffuso: si parla di 60mila operatori su tutto il territorio italiano, i quali vedono frequentemente i loro pazienti e quindi sono tra coloro che potrebbero far emergere per primi il problema, intravedendone i sintomi, in modo da far partire il percorso di diagnosi strumentale, ovvero la polisonnografia, grazie alla quale si può poi passare alla diagnosi medica di uno specialista».

«Le linee guida ci dicono che fino a 25 episodi di apnea l’ora, l’odontoiatra può intervenire con un dispositivo che risolve il problema. E quindi, oltre al ruolo diagnostico in cui l’odontoiatra può comunque essere supportato da altri professionisti, da un punto di vista terapeutico è una figura molto rilevante». Ma quale sarebbe questo strumento? Si tratta di un dispositivo che, «inserito nella bocca del paziente prima di dormire, porta avanti la mandibola durante la notte». Così facendo, «la lingua viene spostata in avanti e vengono aperte le vie respiratorie». Portando avanti la lingua, insomma, «il paziente non russa più e non va in apnea».

Cos’è la polisonnografia?

La polisonnografia «non è altro che un esame strumentale notturno con al minimo 2 canali che registrano la saturimetria, ovvero la quantità di ossigeno nel sangue, e un piccolo tubo che identifica il flusso respiratorio». Combinando queste due informazioni si può capire «quando il paziente va in apnea». Per fare un esempio: «Se durante la notte il paziente passa da una saturazione di 94 a 85, vuol dire che l’ossigeno nel sangue sta calando. Se contemporaneamente il piccolo tubo registra una riduzione o arresto del flusso respiratorio, allora è facile stabilire che ci troviamo di fronte ad un’apnea».

Si tratta di «uno strumento domiciliare ma in casi molto gravi si può ricorrere ai centri del sonno». Certo, per il professor Levrini questo «è più semplice eseguire l’esame domiciliare, in grado di scoprire il problema, curare chi ne è affetto e migliorargli la qualità della vita ed evitare che diventi un rischio anche per gli altri alla guida».

 

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