Salute 28 Maggio 2020 12:43

Aborto e Covid-19, l’appello di Associazione Coscioni e AMICA per una corretta applicazione della 194: «Legge da difendere, oggi più che mai»

L’erogazione della IVG ha subito rallentamenti e difficoltà a causa dell’epidemia. Le associazioni prochoice: «Favorire il farmacologico in regime ambulatoriale e trasparenza su medici obiettori»

Aborto e Covid-19, l’appello di Associazione Coscioni e AMICA per una corretta applicazione della 194: «Legge da difendere, oggi più che mai»

Un percorso ad ostacoli. È così che in Italia l’iter per l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza viene spesso definito dalle donne che vi fanno ricorso. Eppure, la scorsa settimana la legge 194 del 1978 ha compiuto quarantadue anni. Quarantadue anni in cui le donne alle prese con una gravidanza indesiderata sono state sottratte all’aborto clandestino, ai “cucchiai d’oro” di medici senza scrupoli e ai ferri da calza delle “mammane”, alle emorragie, spesso alla morte. Ciononostante, sull’applicazione della 194 sussistono sin dalla sua nascita criticità legate alla sua effettiva accessibilità, alle modalità con cui le varie Regioni l’hanno recepita, alla coesistenza con il diritto all’obiezione di coscienza da parte dei medici, e, in tempi più recenti, all’introduzione dell’aborto farmacologico tra le modalità di interruzione consentite dalla legge. Il tema è trasversalmente sentito dall’opinione pubblica: da un sondaggio commissionato dall’Associazione Luca Coscioni a SWG per conoscere la posizione degli italiani sul tema, emerge che il 31% della popolazione ritiene che la legge vada cambiata per raggiungere una più larga applicabilità; il 50% degli intervistati chiede, inoltre, di migliorare l’Ivg farmacologica, consentendo il regime ambulatoriale o domiciliare come avviene in altri Paesi, mentre il 27% reclama la gratuità della contraccezione.

Si tratta di annose criticità che, in tempi recentissimi, l’emergenza Covid-19 ha contribuito ad amplificare, come sottolineato dall’Associazione Luca Coscioni e dall’Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto (AMICA), insieme all’AIED e ad altre realtà pro-choice. Nonostante, infatti, l’IVG rientri tra le prestazioni a carattere di urgenza e inderogabili, anche secondo il decreto del ministro della Salute, in molti ospedali gli accessi alle pratiche per l’interruzione volontaria di gravidanza hanno subìto riduzioni e sospensioni, senza chiare informazioni a riguardo e con differenze considerevoli tra regione e regione.

Che il lockdown abbia aumentato le difficoltà per le donne lo dimostrano i dati registrati durante questo periodo da CitBot, l’intelligenza artificiale gratuitamente disponibile 24/7 sul sito dell’Associazione Luca Coscioni che risponde su diversi temi tra cui l’aborto. È stato proprio questo, infatti, l’argomento più consultato con circa 3mila domande (33 ogni giorno). In particolare, le richieste vertevano sulle strutture dove poter effettuare l’IVG.

LEGGI ANCHE: INTERRUZIONE GRAVIDANZA, VIORA (AOGOI): «PIÙ RICORSO ALL’ABORTO FARMACOLOGICO PER AIUTARE LE DONNE E DECONGESTIONARE GLI OSPEDALI»

«È evidente che c’è una carenza di informazioni e di trasparenza su questo argomento – commentano l’avvocato Filomena Gallo, Mirella Parachini dell’Associazione Coscioni e Anna Pompili di AMICA – e inoltre anche quest’anno non è possibile commentare i dati del 2019 sull’applicazione della 194/78 ai sensi dell’art. 16 della stessa, perché il ministro della Salute Roberto Speranza non ha ancora depositato la relazione al Parlamento sulla 194, siamo fermi ai dati relativi al 2017. E neppure il ministro di Grazia e Giustizia ha inteso presentare una relazione prevista dalla stessa legge 194, in materia di applicazione della legge e di mancata o errata applicazione della stessa. In questo caso siamo fermi al 2016».

Una delle proposte di Associazione Luca Coscioni e AMICA portate all’attenzione delle istituzioni consiste proprio nella previsione dell’aborto farmacologico con RU486 in regime ambulatoriale in combinazione con parte di somministrazione autonoma, esteso fino alla nona settimana di gestazione (come peraltro avviene nella maggior parte dei Paesi europei) anziché fino alla settima. Una proposta sempre valida, ma che in periodo di congestione ospedaliera assumerebbe un’importanza maggiore soprattutto in regioni come la Lombardia dove l’erogazione del servizio di IVG ha subìto forti rallentamenti. «Non abbiamo avuto risposta – dichiarano Gallo, Pompili e Parachini – eppure la sicurezza di una donna che in tempi di Covid debba effettuare una IVG dovrebbe essere un pungolo per trovare soluzioni percorribili».

«Secondo i dati del 2018, in Italia solo il 18% degli aborti avviene con il metodo farmacologico, mentre la media europea si attesta sul 50%, fino a superare il 90% nei Paesi scandinavi – sottolineano le esponenti delle due associazioni -. In periodo Covid, tutti i Paesi europei si sono attrezzati per favorire la pratica farmacologica rispetto alla chirurgica». Tutti, tranne l’Italia. «Nella convinzione, ideologicamente aberrante, che l’aborto farmacologico banalizzi il fenomeno – proseguono -, e così il nostro Paese si ostina o a procedere chirurgicamente o ad ospedalizzare per tre giorni anche in caso di farmacologico, cosa che, salvo casi espressamente raccomandati, comporta un dispendio di risorse sanitarie assurdo. Va da sé che a causa della riduzione dei posti letto, negli ultimi due mesi abbiamo assistito a una aumentata migrazione sanitaria per accedere alle pratiche di IVG».

Al di fuori del periodo Covid, le altre proposte fanno leva soprattutto sulla necessità di bilanciare due diritti coesistenti: il diritto alla salute della donna con il diritto all’obiezione di coscienza da parte dei medici. «Quello che chiediamo è una maggiore trasparenza e una maggiore accessibilità alle informazioni. Le donne che intraprendono un percorso di IVG devono sapere se si troveranno di fronte un medico obiettore, devono sapere qual è il livello effettivamente erogabile del servizio di IVG nella propria regione di appartenenza – affermano Gallo, Pompili e Parachini -. È per questo che proponiamo la creazione di un albo pubblico dei medici obiettori di coscienza, di una legge quadro che preveda l’obiezione di coscienza anche con servizio alternativo e l’istituzione di concorsi pubblici riservati al 50% a medici non obiettori per la gestione dei servizi di IVG; inoltre – concludono –  sarebbe da prevedere il ricorso a medici “gettonati” per sopperire urgentemente alle carenze dei medici non obiettori, ed offrire la deroga al blocco dei turnover nelle regioni dove i servizi di IVG sono scoperti».

 

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