L'Arte che cura 19 Dicembre 2018 15:51

Teatroterapia, dal palcoscenico alla vita. Recitazione, maschere, clown e burattini: “mezzi” per vivere meglio

«Dallo psicodramma per la cura delle dipendenze, al playback per la ricerca interiore, fino alla comico terapia per alleviare le sofferenze di un’intera famiglia». Con Cecilia Moreschi, docente del master in Artiterapie dell’università Sapienza di Roma, tutte le tecniche della Teatroterapia

di Isabella Faggiano

«Recitazione, mimo, improvvisazione, narrazione, arte del clown, burattini, maschere. Forme diverse del teatro utilizzate ad unico scopo: curare». È Cecilia Moreschi, docente del master in Artiterapie dell’università Sapienza di Roma, teatroterapista presso il centro di Audiofonologopedia di Roma e attrice, a descrivere le varie metodologie utilizzate per “mettere in scena” la teatroterapia.

Ma cos’è che trasforma una perfomance teatrale in un atto di cura? «Tutte le varie forme di interpretazione teatrale, a cominciare dai giochi della fase laboratoriale, – ha spiegato Cecilia Moreschi –  vengono utilizzate non come fine ma come mezzo. Entrano a far parte del percorso riabilitativo della cura di una persona, affiancando e implementando le terapie tradizionali, affinché il paziente possa migliorare il proprio stato di salute e la propria vita da diversi punti di vista».

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Nella “cornice”  della teatroterapia rientrano diverse metodologie, ma tutte affondano le proprie radici nella storia del teatro:  «Grandissimi registi e teorici del ‘900 – ha aggiunto la teatroterapista – come il francese Antonin Artaud, il russo Konstantin Stanislavskij, il polacco Jerzy Grotowski, o l’italiano Eugenio Barba, ma anche il Living Theatre in America e il nostro Premio Nobel Dario Fo, hanno sperimentato un teatro nuovo, sottraendolo dalla sua classica collocazione su un palcoscenico ed offrendogli un’accezione di cura, per l’attore stesso e per la società, per il singolo e la collettività».

Gli effetti terapeutici del teatro sono trasversali: la teatroterapia può essere adeguata ad adulti con dipendenza, ad adolescenti che abbandonano la scuola, a individui affetti dalla disabilità in tutte le sue forme, ma anche a piccoli ammalati ricoverati in ospedale. E come ogni terapia, per essere efficace, deve essere cucita su misura, adattata alle esigenze del singolo paziente: «Le tecniche psicodrammatiche – ha detto Moreschi – sono molto utilizzate nelle comunità di recupero, come quelle per tossicodipendenti e nelle carceri.  Per la cura del disagio mentale, invece, è frequentemente adoperata la dramma-terapia».

E, come facevano i cantastorie di un tempo, anche la narrazione e l’arte del racconto viene utilizzata nella performance teatrale, divenendo atto di cura:  «Si chiama playback theatre – ha continuato l’attrice – ed è una metodologia terapeutica che parte dal racconto di un’esperienza propria o altrui, attraverso la voce di chi ha vissuto direttamente il trauma o l’abuso, o ne è stato spettatore.  Grazie ad un conduttore che ha la funzione di da mediatore tra racconto e artisti, la compagnia degli attori, con la presenza della musica in scena, fa rivivere la storia – rimodulandola con tecniche teatrali – a colui che l’ha narrata. In questo modo il paziente vede il proprio vissuto “fuori di sé”, in un’altra forma. E assistere alla propria storia è già un atto di cura. Tutto avviene nel qui e ora: la compagnia di Playback non sa mai quali vissuti gli verranno narrati. Grazie a notevoli capacità di ascolto, d’immedesimazione e improvvisazione, la performance prende vita pochi attimi dopo il racconto. Infine la logoteatroterapia, termine da me coniato, si affianca alla terapia logopedica nel percorso che si occupa della disabilità legata all’area del linguaggio, e mira a stimolare le facoltà linguistiche e comunicative tramite la percezione del sé, dell’altro, del ritmo e del respiro, e dell’organizzazione spazio-temporale».

E per i più piccoli, invece, non c’è miglior cura di un sorriso: «La comico terapia – ha detto Moreschi – utilizza il riso per attivare il cosiddetto “guaritore interno”, ovvero il sistema immunitario, quella parte sana della persona in grado di aiutare i farmaci ad avere più effetto. La comico terapia, detta anche clown terapia, spesso avviene direttamente negli ospedali, soprattutto con i bambini. Il suo effetto non si limita al paziente, lavora con ogni persona presente nell’ambiente circostante. Una terapia a 360 gradi che porterà il buonumore a tutti: alla mamme, ai papà, ma anche al personale sanitario presente nella stanza in cui il clown dottore si esibisce per il piccolo ammalato. Questo perché –  ha concluso la teatro terapista – non esiste nessuno al mondo a cui non faccia bene ridere».

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