Lavoro 5 Marzo 2020 10:27

«Turni di 12 ore e operatori in quarantena, ma ce la faremo». La vita degli infermieri sul ‘fronte lombardo’

Stefania Pace, responsabile del coordinamento degli Ordini degli infermieri lombardi: «Mancano almeno 2mila infermieri negli ospedali della regione: con la carenza che c’è stiamo facendo miracoli». Nella zona rossa la situazione è difficile «ma nonostante questo stiamo garantendo una qualità assistenziale di alto livello»

«Turni di 12 ore e operatori in quarantena, ma ce la faremo». La vita degli infermieri sul ‘fronte lombardo’

«In questa emergenza nessuno si è tirato indietro. Voglio dire davvero a tutti noi infermieri e operatori sanitari “forza, sicuramente ce la faremo”». Ha la voce rotta dall’emozione Stefania Pace, Presidente dell’Ordine degli Infermieri di Brescia e responsabile del coordinamento degli Opi della Lombardia, nel raccontare la dedizione di tutti gli infermieri lombardi in questi giorni di emergenza coronavirus.

Giornate lunghissime quelle degli infermieri: turni infiniti, reparti da allestire, pazienti da accudire. Un lavoro di grande responsabilità. Avevamo provato a contattarla qualche giorno fa ma non era stato possibile perché «c’era un reparto da allestire e non mi sono mai fermata» ci dice quasi a volersi giustificare. Pace, che lavora alla Fondazione Poliambulanza di Brescia, struttura privata accreditata al Sistema sanitario nazionale, racconta quasi come un fiume in piena questi giorni destinati a restare nella sua memoria: «Noi infermieri in queste ore convulse stiamo continuando ad erogare tutti i servizi assistenziali con la stessa professionalità e anche con il senso di responsabilità che ci ha sempre contraddistinto. Ci stanno definendo eroi, però vorremmo sottolineare che per noi questa situazione di emergenza rappresenta la quotidianità in termini di responsabilità e in termini di erogazione di assistenza».

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Le maggiori difficoltà degli infermieri si registrano, com’è ovvio, nella zona rossa del lodigiano: «Come riferito dal presidente Opi di Milano, Lodi e Monza le attività sono convulse e non hanno quasi più una logica di turnistica. In alcuni settori i colleghi svolgono attività per 12 ore continuative. Alcuni sono in quarantena, sono saltate quelle che sono le logiche organizzative in merito alla gestione delle risorse umane. Ma è comprensibile: devono intervenire anche in caso di malattia di colleghi, la situazione per loro è più complicata».

A Brescia la situazione è più tranquilla, ma ci si prepara ad un eventuale allargamento dell’epidemia: «Qui stiamo allestendo in tutti gli ospedali dei settori dove erogare attività assistenziale ad alto livello, in particolare terapie intensive, perché i pazienti più critici sono da ventilare. La necessità è quella di cercare di allestire delle postazioni di terapia intensiva e questo determina un ulteriore aggravio in termini di carico di lavoro e di competenze. Devo dire che stiamo lavorando molto bene con tutti gli altri professionisti proprio per erogare una elevata attività assistenziale».

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L’emergenza si intreccia però con i problemi strutturali e in particolare col tema della carenza di personale, anche se l’assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera ha comunicato il via libera del ministero della Salute alla possibilità di assumere gli infermieri neolaureati prima dell’iscrizione all’albo. «L’idea di richiamare dalla pensione i colleghi così come quella di anticipare le lauree sono ‘politiche del giorno dopo’. Il fabbisogno è all’incirca sulle duemila unità in ospedale e ancora di più sul territorio. In realtà con una carenza già a monte di questo genere tutto quello che stiamo garantendo è quasi un miracolo» sottolinea Pace che, in linea con quanto dichiarato dalla presidente della Federazione nazionale (FNOPI) Barbara Mangiacavalli, si rammarica della risposta assistenziale sul territorio: «Mi duole molto in questo momento dire di non essere riusciti a garantire un’assistenza a livello territoriale attraverso l’infermiere di famiglia e di comunità che noi chiediamo da un anno e mezzo come previsto dal Patto per la Salute e dalla riforma regionale. Perché se in questo momento ci fossero stati i colleghi sul territorio per dare una risposta anche all’interno dei domicili credo che questa emergenza sarebbe stata gestita in modo diverso. Ora non è il momento delle polemiche e siamo tutti concentrati a dare risposte a cittadini e pazienti, però come coordinamento lombardo faremo in modo che queste tematiche vengano riprese in considerazione attraverso dei tavoli».

Sullo sfondo, resta lo spettro dell’allargamento della zona rossa al bergamasco, che secondo quanto riferito dall’Iss potrebbe rappresentare un nuovo focolaio. «L’allargamento preoccupa – conclude Pace -. Se cominciamo ad ammalarci noi operatori sanitari anche le difficoltà aumenterebbero. Per questo andrebbero in futuro calcolati gli organici in misura ragionevole e concreta per far fronte all’emergenza e alle malattie che potrebbero colpire gli operatori».

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