Racconti dalla seconda ondata 29 Ottobre 2020 11:00

Al San Matteo di Pavia è di nuovo emergenza. Roberto, radiologo, vede anche giovani in condizioni critiche

Roberto, tecnico radiologo ammette «Possiamo riconoscere un’occlusione dell’arteria polmonare quando ancora non ci sono sintomi di fame d’aria  e agire tempestivamente con le cure. Grazie a tac e plasma ridotti al minimo i decessi»

di Federica Bosco
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Cresce in maniera costante il numero dei pazienti ricoverati per coronavirus al San Matteo di Pavia. Delle quattro terapie intensive due, riservate ai pazienti Covid, sono al completo, così come un piano degli infettivi. Mentre al Pronto soccorso dedicato alla pandemia si registrano in media una trentina di accessi giornalieri.

Nell’ultima settimana anche il lavoro di medici e operatori sanitari si è intensificato e la fame d’aria ritorna ad essere l’incubo più ricorrente. «Non dobbiamo terrorizzare la gente, ma è giusto che si sappia che noi siamo di nuovo in emergenza», ammette Roberto, radiologo da quarant’anni in servizio alla tac del Policlinico San Matteo di Pavia.

TAC A TUTTI I SOSPETTI COVID

E proprio la radiologia sembra essere il luogo nevralgico in questa seconda nuova ondata di Covid. «Ogni accesso per sospetto Covid viene sottoposto alla tac – spiega Roberto –: se prima le linee guida suggerivano di fare la radiografia toracica per evidenziare la presenza di polmoniti bilaterali interstiziali, oggi si procede con la tac per scongiurare la presenza di trombi. Un importante passo avanti dal momento che oggi si sa con certezza che i pazienti Covid muoiono per embolia e non per polmonite».

Un cambio di passo che, insieme all’uso compassionevole e costante della terapia del Plasma, ha reso possibile ridurre ai minimi il numero dei decessi. «Da noi i morti per Covid si contano sulle dita di una mano – sottolinea il tecnico radiologo – eppure a chi dice che oggi la malattia è meno aggressiva posso rispondere che sono meno frequenti i casi gravi, perché l’età si è abbassata a 40 e 50 anni».

«Eccezionalmente ci sono anche giovani che arrivano in condizioni critiche, e forse non piangeremo più come nella prima ondata, ma questo perché oggi sappiamo come intervenire e lo facciamo in tempi rapidi. Se individuiamo subito un embolo che occlude l’arteria polmonare ed impedisce l’accesso del sangue ai polmoni anche là dove non ci sono ancora sintomi evidenti di fame d’aria, allora possiamo intervenire con tempestività e  vincere la battaglia contro il Covid impiegando meno sacche di plasma».

ANTIVIRALI E PLASMA

Diagnosi precoce e cura entro le prime 48/72 ore con antivirali e plasma. È evidente che la terapia che aveva già dato importanti risultati nella prima ondata, conferma di essere una cura efficace per i pazienti Covid. «Se ne parla poco – dice sottovoce Roberto – ma da noi non è mai venuto meno l’uso compassionevole del plasma che si conferma la miglior cura oltretutto gratuita. In fondo si basa sulla generosità di chi ha passato l’inferno e ne è uscito. E tanti sono tornati a donare il plasma, in particolare chi ha avuto forme più aggressive ha sviluppato un maggior numero di anticorpi che rendono il plasma un prezioso alleato nella battaglia contro il Covid».

Niente allarmismo e disperazione, ma consapevolezza che negli ospedali la linea del fronte si fa sempre più marcata, che i turni di lavoro di medici e operatori sanitari si stanno allungando e il rischio di tornare ad essere in difficoltà nel gestire i malati è sempre più concreta.

TURNI SEMPRE PIÙ LUNGHI

«Negli ultimi giorni ci hanno chiesto più volte di restare a fine turno perché c’erano delle emergenze da gestire – ammette –, ore gratuite che dovremmo poi recuperare a fine anno, ma visto l’andamento non credo sarà possibile. Non ha importanza, ciò che conta è riuscire a tenere sotto controllo la situazione. Finché la gente rispetterà le misure di distanza e utilizzerà la mascherina nei luoghi pubblici allora forse ce la faremo. Le situazioni più critiche si registrano nei mezzi di trasporto dove è praticamente impossibile garantire il distanziamento. Ecco, più che chiudere l’Italia si dovrebbe risolvere il problema dei trasporti che rappresentano il vero anello debole».

 

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