Salute 16 Novembre 2018 12:34

“La trama della vita”, Giulio Cossu spiega la Medicina rigenerativa: «Insegniamo anatomia e patologia nelle scuole per difenderci dalle false cure»

Nel libro il professore romano, da anni ricercatore a Manchester, ripercorre la sua carriera caratterizzata dallo studio sulle staminali e fa il punto su questa branca della medicina. Poi mette in guardia dai social ricordando il caso Stamina: «Qui l’opinione di un premio Nobel vale quanto quella di chi non sa nulla sull’argomento»

«Vorrei augurare a me e a voi che la medicina rigenerativa possa passare da esercizio di pochi eletti a realtà clinica consolidata, senza distruggere l’economia dei sistemi sanitari nazionali». Bisogna partire dalla fine per capire il libro “La trama della vita” (Marisilio editore), ultima fatica del professor Giulio Cossu, romano trapiantato a Manchester dove insegna Medicina rigenerativa e si occupa di cellule staminali per la terapia delle distrofie muscolari. Una vita, la sua, tutta dedicata allo studio delle staminali, anche quando i risultati stentavano ad arrivare. A lungo ha lavorato a una soluzione per la distrofia muscolare di Duchenne, una forma particolarmente grave di distrofia, all’estero (Usa, Francia, Uk) e in Italia, con la decisiva esperienza al San Raffaele di Milano. Il libro è un vero e proprio manuale, scritto in forma brillante e non solo per addetti ai lavori, su una materia complessa ma che potrebbe rappresentare lo sviluppo della medicina del futuro: emofilia, talassemia, malattie lisosomiali sono solo alcune delle patologie che la medicina rigenerativa potrebbe curare nel prossimo futuro anche se, come ricorda Cossu nel libro, parafrasando il fisico danese Niels Borh, «è molto difficile fare previsioni, soprattutto circa il futuro». Resta però la difficoltà di confrontarsi con una società, non solo quella italiana, imbevuta di pregiudizio antiscientifico. «Divulgare una corretta informazione su quello che oggi le staminali possono curare oppure no è cruciale», sottolinea a Sanità Informazione Cossu.

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Professore, spesso si confonde la medicina rigenerativa con l’eugenetica, invece sono due cose diverse. Può spiegare ai nostri lettori qual è la differenza?

«L’eugenetica, nome sinistro, evoca la possibilità di selezionare caratteri desiderati (altezza, intelligenza, bellezza, occhi azzurri etc.) nella prole.  Tutti questi caratteri sono determinati da tanti geni diversi, in buona parte ignoti per cui modificarli tutti oggi non è possibile. Anche se un domani lo divenisse non sarebbe mai desiderabile, derive razziste a parte, perché ridurrebbe la variabilità genetica che è un grande vantaggio per una specie. La medicina rigenerativa al contrario si propone di riparare organi e tessuti colpiti da un trauma, da una malattia o anche dal solo invecchiamento, usando cellule, geni e bio-materiali al posto dei farmaci tradizionali. Una zona di confine esiste nella oggi molto discussa, ma non ancora attuabile, possibilità di eradicare una mutazione che causa una malattia genetica nella linea germinale del paziente curato, così da non dover ripetere la terapia sui figli affetti. Evitare una malattia grave è cosa ben diversa dal programmare un figlio con i capelli biondi».

Nel libro ripercorre la sua carriera di ricercatore che l’ha vista lavorare, oltre che in Italia, in Francia, Stati Uniti, Inghilterra. Dove ha trovato l’ambiente e la legislazione migliore per fare ricerca?

«Difficile rispondere perché ero in USA quarant’anni fa, quando di medicina rigenerativa si iniziava appena a parlare, in Francia negli anni ‘90 e in UK dal 2012. Le cose cambiano col tempo e soprattutto con l’Istituzione dove lavori: il San Raffaele in Italia è infinitamente meglio di una piccola e remota università in qualunque degli altri paesi. La legislazione si è fatta progressivamente più complessa ovunque per evitare (o provare a evitare) un uso commerciale di terapie non sicure e non convalidate (Stamina per capirci). Unica differenza importante: la sacralità dell’embrione umano è un problema italiano e di altri paesi cattolici, che non esiste in USA, Francia o UK».

Nel libro elenca alcuni usi della medicina rigenerativa che saranno di probabile sviluppo nel futuro: dalla medicina personalizzata all’ingegneria dei tessuti. Qual è lo sviluppo più promettente?

«Fare previsioni è sempre pericoloso. Dovendo rispondere direi che l’ingegneria dei tessuti e la medicina personalizzata hanno buone probabilità di successo clinico in molte nuove aree, oltre alle poche dove lo hanno già ottenuto. Ma basterebbe una nuova scoperta tra un mese o un problema imprevisto tra due e le cose potrebbero cambiare radicalmente.  La terapia genica è una branca della medicina rigenerativa che, ad esempio non ha a che fare con l’ingegneria dei tessuti, almeno per ora».

Nel testo ripercorre anche il caso Stamina che vedeva al centro della contesa proprio una terapia basata sulle cellule staminali. Come possono essere evitati nuovi casi Stamina? 

«“Leges sine moribus vanae” ci ammonivano gli antichi. Possiamo fare tutte le leggi possibili ma se non cambia la mentalità, cliniche private tipo Stamina continueranno a prosperare. Abbiamo un’iniziativa in corso con la rivista Lancet, le Accademie Europee e l’EMA (Agenzia Europea che approva nuovi farmaci) per creare delle linee guida (ne esistono già di buone ma in settori ristretti che non hanno visibilità al di fuori della comunità scientifica). Il fine ultimo di questa iniziativa è quello di stimolare una nuova legislazione a riguardo che punisca chiunque non si attiene a regole di correttezza scientifica e trasparenza. Questo credo sia necessario ma certo non sufficiente. Divulgare una corretta informazione su quello che oggi le staminali possono curare oppure no è cruciale. Ma per arrivare ad una consapevolezza in tutti i cittadini, sani o malati, sarà necessario insegnare nelle scuole, fin dalle elementari un po’ di medicina, di fisiologia e di patologia, così da non lasciare pazienti affetti da malattie gravi senza alcuno strumento culturale che permetta loro di difendersi dall’offerta di una speranza, mai di una cura».

Un intero capitolo è dedicato allo stato della ricerca in Italia e al diffondersi dell’ostilità verso la ‘scienza ufficiale’ amplificata dai social media. Qual è la ‘terapia’ per fronteggiare questo fenomeno?

«Purtroppo non è soltanto un problema italiano, anche se in Italia trova un terreno particolarmente fertile per il confluire di credenze di svariata origine ma tutte destituite di ogni base scientifica, con un forte anti-scientismo insito nella cultura cattolica. Ci pensano poi i media a far esplodere la miscela.  Qui l’opinione di un premio Nobel vale quanto quella di chi non sa nulla sull’argomento, ha letto quello che pontifica su qualche sito ed è confortato da un esercito di “like” da persone ugualmente ignoranti sull’argomento.  Ricordo di aver assistito con vera sofferenza a un confronto televisivo tra Paolo Bianco, una delle massime autorità sulle cellule staminali mesenchimali e Vannoni. Vannoni ebbe la meglio perché comunicatore più bravo anche se diceva solo assurdità scientifiche che il pubblico davanti alla televisione non poteva identificare come tali, proprio per la mancanza di una cultura scientifica, il che ci riporta al problema cruciale dell’educazione nelle scuole».

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Decine di persone nel mondo hanno scelto di farsi ibernare nella speranza, in futuro, di poter tornare in vita. La ritiene una scelta sensata?

«In futuro si potrà davvero arrivare a riportare le persone in vita? Occorre distinguere tra ibernazione e criopreservazione. Nella prima alcune specie animali entrano in uno stato di riposo metabolico, con bassa temperatura e ridotte funzioni fisiologiche, principalmente per superare periodi in cui il cibo non è sufficiente.  Non sono a conoscenza di esseri umani ibernati, se non consideriamo i film di fantascienza. La crio-preservazione invece è il congelamento a temperature di molto sotto lo zero di strutture biologiche. Funziona benissimo con cellule, gameti e anche embrioni umani alle prime fasi di sviluppo, ma non con organismi più grandi.  Che io sappia nessuno è mai riuscito a crio-preservare un topolino giovane e sano, duemila volte più piccolo di noi e poi riportarlo in vita; pertanto sarei davvero stupito se funzionasse con le molte decine di persone che si fanno congelare appena morte (la legge proibisce di congelare una persona ancora viva) nella speranza di essere riportati in vita quando la malattia che li ha uccisi potrebbe essere divenuta curabile. Poiché queste persone pagano circa 200mila dollari per questo procedimento, il sospetto che si tratti di un business è piuttosto forte. Poi ovviamente cosa sarà possibile fare tra cento anni, non so davvero prevederlo, ne sarò lì a vederlo e, anche se potessi, non vorrei esserci».

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