Salute 26 Giugno 2023 15:28

Artriti: 1 paziente su 3 non segue bene le terapie. Esperti: «Più a rischio disabilità»

Il 30% dei pazienti con artrite reumatoide e il 40% con artrite psoriasica non segue correttamente la terapia, con alto rischio di persistenza e aumento dell’infiammazione e di conseguente comparsa di disabilità, oltre che di un importante aumento dei costi

Artriti: 1 paziente su 3 non segue bene le terapie. Esperti: «Più a rischio disabilità»

Le artriti sono patologie molto insidiose contro le quali non bisogna mai abbassare la guardia. Eppure, circa il 30% dei pazienti con artrite reumatoide e il 40% con artrite psoriasica non segue correttamente le terapie, con alto rischio di persistenza e aumento dell’infiammazione e di conseguente comparsa di disabilità, oltre che di un importante aumento dei costi. La mancata aderenza nasce principalmente da una scarsa comunicazione medico-paziente, che comporta preoccupazioni spesso infondate nei malati. È uno dei temi importanti affrontati in occasione del congresso dell’EULAR, European Alliance of Associations for Rheumatology, che si è svolto a Milano.

Scorretta aderenza a terapie legata a gravi disabilità

«Il nostro impegno oggi, soprattutto rispetto a malattie infiammatorie come le artriti, che colpiscono ben 5 milioni persone, è verso una maggiore consapevolezza del paziente riguardo l’importanza di assumere correttamente i farmaci», sottoline Gian Domenico Sebastiani, presidente della Società Italiana di Reumatologia (SIR). «Un aiuto significativo può arrivare dai ‘lay summaries‘, riassunti ‘laici’ sulle indicazioni di utilizzo dei farmaci rivolti ai non addetti ai lavori, strumenti utili per l’accompagnamento del paziente nella terapia», aggiunge. «La mancata aderenza non solo ha conseguenze dirette e immediate sulla qualità di vita, ma può causare persistenza dell’infiammazione e, nel lungo periodo, anche grave disabilità», afferma Annamaria Iagnocco, past president EULAR. «Diversi studi hanno dimostrato come la scorretta assunzione dei farmaci, con modalità e tempi diversi rispetto a quanto indicato dal medico, con interruzioni volontarie o dosi ridotte, riduca significativamente la risposta», aggiunge.

Fondamentale puntare su una migliore comunicazione medico-paziente

Secondo gli esperti, il motivo della scarsa aderenza è legato a una non corretta comprensione, da parte del paziente, dell’importanza della continuità del trattamento e alla paura riguardo i possibili effetti collaterali, che però si verificano in un numero limitato di persone e in entità ridotta. «Per risolvere questo problema – sottolinea Iagnocco – è fondamentale un’ottimizzazione della comunicazione medico-paziente, perché vengano chiariti i numerosi benefici della terapia e la ridotta incidenza di effetti negativi. Per prevenire l’evoluzione dell’artrite verso la distruzione articolare e la disabilità che ne consegue, il target terapeutico è l’ottenimento rapido della remissione o, quanto meno, di una bassa attività di malattia. È importante ricordare che queste patologie, se attive, causano abitualmente anche un impegno d’organo, con coinvolgimento degli apparati cardiovascolare, polmonare e gastrointestinale, oltre che di cute o occhio, solo per citare alcuni esempi».

L’equivoco sulle terapie a base di farmaci Jak inibitori

«Al centro del dibattito in ambito reumatologico c’è anche il posizionamento dei nuovi farmaci Jak inibitori, modificato a seguito dello studio Oral-Balance pubblicato sul New England Journal of Medicine lo scorso anno che ne ha messo in dubbio la tollerabilità», dice Carlomaurizio Montecucco, presidente della Fondazione Italiana per la Ricerca sull’Artrite (FIRA). «Indicati per il trattamento dell’artrite reumatoide, in alcuni casi di artrite psoriasica e spondiloartriti e anche per malattie non reumatiche infiammatorie intestinali e dermatite atopica, questi farmaci – prosegue – si sono dimostrati molto efficaci, ma dallo studio è emerso un aumento del rischio cardiovascolare. Una nota dell’AIFA ne ha quindi limitato l’uso ai soli pazienti che non abbiano problemi cardiovascolari e per i refrattari a tutti gli altri farmaci. In realtà, i dati emersi dalla pratica clinica e dagli studi real life americani ed europei è che questo aumentato rischio non sia evidente, se non in persone con pregresse patologie o in età molto avanzata».

 

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