Salute 6 Agosto 2021 10:25

Ipovisione e cecità, il “miracolo” della terapia genica

Falsini (oculista): «Sono attualmente eleggibili al trattamento i pazienti con difetto del gene RPE65. Ma, grazie ai progressi della scienza, la terapia genica sarà presto utilizzabile anche per le malattie ereditarie della retina causate da una mutazione diversa»

di Isabella Faggiano

Rappresentano la principale causa di cecità nell’infanzia e in età adulta. Oltre a compromettere la vista, possono causare isolamento sociale, stress emotivo, perdita di indipendenza e rischio di cadute e lesioni. Si tratta delle malattie ereditarie della retina, un gruppo di patologie genetiche rare, che causano una progressiva degenerazione dei fotorecettori della retina (coni e bastoncelli), con una grave riduzione della capacità visiva nel corso degli anni. Un destino che, oggi, per alcuni pazienti, può essere riscritto grazie ai risultati ottenuti con la terapia genica. Finora destinata solo ai piccoli pazienti è recentemente stata utilizzata anche in un paziente adulto.

Il caso

È accaduto a Roma, al Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, dove una donna di poco più di 40 anni ha ricevuto la prima terapia genica approvata e rimborsata in Italia dall’AIFA per una rara forma di malattia ereditaria della retina.

«Nel nostro Paese sono già stati trattati con la stessa terapia diversi bambini affetti da distrofia retinica ereditaria causata da mutazione bialleliche del gene denominato RPE65 – spiega il professor Benedetto Falsini, responsabile UOS Malattie eredofamiliari retiniche e specialista nelle Distrofie retiniche ereditarie -,  ma è la prima volta che la terapia viene somministrata ad una paziente adulta, bilateralmente  ipovedente. I primi risultati ottenuti sono molto incoraggianti e confermano l’approccio che ci ha spinto ad intervenire: “Non è mai troppo tardi per recuperare la funzione visiva”».

La terapia genica

Il trattamento avviene attraverso un’unica somministrazione per singolo occhio di un vettore virale inattivato che fornisce una copia funzionante del gene RPE65. Il “nuovo” gene veicola l’informazione corretta nelle cellule retiniche malate, migliorando la capacità visiva di chi riceve la cura. Una svolta per il miglioramento della qualità di vita di tutti pazienti affetti da questa rara patologia che, fino ad oggi, non avevano a disposizione nessuna opzione terapeutica. «Le persone nate con mutazione in entrambe le coppie del gene RPE65 possono andare incontro a una perdita quasi totale della vista che può manifestarsi sin dalla tenera età e poi in qualunque fase della vita, con la maggior parte dei pazienti che arriva fino alla cecità totale», aggiunge Falsini.

La diagnosi

È possibile individuare la malattia già durante il primo anno di vita: «Movimenti erratici degli occhi, difficoltà a fissare gli oggetti – spiega il professore – possono essere considerati dei campanelli di allarme di fronte ai quali è necessario sottoporre il bambino a specifici accertamenti, come l’elettroretinogramma. L’esame può essere eseguito fin dalla primissima infanzia ed è in grado di rilevare la presenza di un’eventuale retinopatia.

I limiti della terapia genica

Il successo della terapia genica è confermata da dati internazionali: «Il trattamento non avrebbe mai ricevuto l’approvazione delle agenzie regolatorie mondiali se non fossero stati accertati la sua efficacia e la sicurezza. Purtroppo, però, non tutti i pazienti sono eleggibili per la terapia genica, poiché è un trattamento personalizzato a seconda del difetto genetico presente. E, al momento, abbiamo un numero molto limitato di difetti genetici per i quali è possibile eseguire terapia genica». Una limitazione che potrebbe essere presto superata dai rapidi progressi scientifici. «È molto probabile che nel giro di qualche anno sarà possibile intervenire anche su pazienti affetti da malattie ereditarie della retina, causate da una mutazione diversa da quella del gene RPE65, offrendo un miglioramento visivo ad un numero sempre più elevato di persone che, altrimenti, sarebbero stati costretti a fare i conti con l’ipovisione, se non con la cecità per tutta la vita».

 

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