Salute 30 Gennaio 2021 18:04

Fame d’aria – Capitolo 13 (parte 2)

Su Sanità Informazione il racconto a puntate di una storia vera. Anzi, di più storie, di destini che si incrociano sulla spinta asfissiante di un virus che ci ha separati tutti

Fame d’aria – Capitolo 13 (parte 2)

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16 agosto

L’alba che arrossò il cielo dietro le colline che si affacciavano su Acciaroli illuminò poco a poco una spiaggia insolitamente pulita per quel giorno. Nessun ceppo carbonizzato né una bottiglia piantata nella sabbia a testa in giù. Nessun falò la notte. Giusto qualche fuocherello qui e lì di chi proprio non voleva rinunciarvi ma lo aveva fatto nella massima discrezione, per poche ore e senza lasciar traccia. Pochi amici, qualche coppietta, un po’ di birra e vino per poter dire di esserci stati, esser rimasti sé stessi con le proprie abitudini anche in quell’anno maledetto. Un po’ di musica dai cellulari ma a volume molto basso. Nessuna voglia di dimostrare ancora una volta di essere il gruppo che spiccava tra gli altri per il fuoco più alto e luminoso e la musica più fragorosa. Nessuna gara, solo il minimo indispensabile per dire “noi, nonostante tutto, c’eravamo”.

Chi è abituato a farlo ogni anno non rinuncia facilmente al falò di Ferragosto, alla musica alta e all’alcol che ne manda stesi puntualmente a mucchi, mentre a turno si cura il fuoco, ci si accascia, ci si allontana dal presidio per andare a vomitare o pisciare in solitudine, ci si addormenta, ci si butta nudi nel mare, ci si apparta con l’amore di una estate o di una notte, quella notte, per baciarsi nascosti nell’ombra tremolante. Quell’anno il timore di vedersi rovinare la festa dalle “guardie”, che tutti sapevano sarebbero state molto vigili quella notte, ebbe la meglio. A parte, come detto, qualche irriducibile che, più che festeggiare e divertirsi, voleva ribadire, prima di tutto a sé stesso, la propria libertà.  

Quella mattina la spiaggia si risvegliò vuota e triste e i ragazzi, che di solito tornavano a casa all’alba per andare dormire fino almeno al primo pomeriggio, si alzarono presto. Quasi come se dovessero andare a scuola. Quasi come se dovessero lasciare il posto nel letto al sé stesso dell’anno prima che si avvicinava arrancando, stanco e ubriaco e mendicante qualche ora di riposo.

La spiaggia che si risvegliò vuota e triste cominciò a ripopolarsi lentamente come le altre volte. I primi a prendere posto, come da copione, furono le famiglie con i bimbi piccoli e gli anziani, gli ultimi i ragazzi più grandi, quelli che andavano all’università o lavoravano o si erano da poco sposati e che in spiaggia ci andavano con passo lento, quasi controvoglia. In mezzo, i ragazzini entusiasti e pieni di energie che non volevano perdere neanche un minuto di divertimento. E proprio alcuni di questi, intenti a rifarsi per la notte di baldoria appena persa, si ritrovarono a decine in un pezzetto di spiaggia affollato, carichi di bottiglie, patatine e fumo. Sbucò dal nulla una cassa di grandi dimensioni. La collegarono ad un cellulare e la festa cominciò.

Il posto scelto per il party non autorizzato si trovava tra due lidi. Due lidi che, le altre estati, erano soliti organizzare appuntamenti di questo tipo all’ora dell’aperitivo. Un tempo l’happy hour era un momento in cui i cocktail costavano di meno per attirare più gente. Ma una volta che i gestori si accorsero che, effettivamente, i prezzi bassi chiamavano più clienti, fecero evolvere il concetto e li fecero lievitare. In questo modo l’happy hour, da ora felice in cui ci si ammassava davanti al bancone e si facevano file chilometriche per bere un drink a metà prezzo, divenne un momento in cui ci si ammassava davanti al bancone e si facevano file chilometriche per bere un drink al doppio del prezzo. Era un bell’introito per loro, ma quell’anno non poterono contarci. E i ragazzi, che non volevano rinunciare a bere e ballare sulla spiaggia dal pomeriggio al tramonto, decisero di fare da soli.

Quel giorno in Italia si sarebbero registrati solo 479 nuovi casi di contagio e quattro morti. Nulla in confronto ai numeri di qualche mese prima. I tempi in cui le persone cadevano come soldati mandati al fronte senza armi erano passati e, seppur tutti ricordassero quel che era successo, lo consideravano, per l’appunto, solo un ricordo, un capitolo della loro vita che si era chiuso definitivamente. La guerra era finita e si festeggiava. I contagi e i morti, ormai, erano così pochi che beccarsi il virus sarebbe stato difficile come vincere un terno al lotto. E così si ballava incollati l’uno all’altro, ci si passava bottiglie passate per mille bocche, si condividevano sigarette e spinelli e ci si baciava alla faccia di chi per mesi aveva sostenuto che anche con un solo bacio si poteva finire all’ospedale con i polmoni dilaniati. Di mascherine, che pure erano obbligatorie a partire dalle 18, neanche una.

Allertato dalla musica, e probabilmente anche dai gestori dei due lidi che da quella festa non ci stavano guadagnando nulla e ci avrebbero pure rimesso qualche cliente, attirato da quella improvvisata concorrenza, fece irruzione il sindaco insieme ad un gruppetto di vigili. Le canne appena accese o già mezze fumate finirono nella sabbia, in tanti si allontanarono come se non c’entrassero nulla, altri continuarono a ballare e bere come se il sindaco e i vigili fossero venuti a far baldoria con loro.

Risalire all’organizzatore (se mai ce ne fosse stato realmente uno da identificare) era impossibile, così come multare dei ragazzini che non violavano alcuna legge. Per questo il sindaco si buttò furibondo sulla cassa e la sequestrò, rimanendo in attesa pochi passi più in là per vedere chi si sarebbe fatto avanti per rivendicarla, sostanzialmente autodenunciandosi. Non si faceva avanti nessuno.

Giulia guardò la scena da lontano. Non aveva preso parte alla festa ma era solita frequentare con gli amici proprio quella lingua di spiaggia. Le tornarono in mente la paura che quell’anno il suo albergo sarebbe rimasto vuoto, che le poche prenotazioni non avrebbero ripagato i costi, che i costi stessi sarebbero alla fine risultati così elevati da portare al fallimento non solo la sua ma tantissime attività che riuscivano a sopravvivere solo grazie ai mesi estivi. Quel che invece era successo, come dimostrato da quella scena, fu del tutto diverso.

Ripensò a tutto questo e sorrise. Un sorriso storto, amaro, per nulla divertito, quasi una smorfia. Il sorriso di chi assiste ad una rappresentazione teatrale e, quasi incredulo, non ne capisce il senso. Ciò che aveva davanti agli occhi era uno spettacolo semplicemente assurdo, e di fronte all’assurdo non si può far altro che accettarlo. Senza approfondire, senza provare nemmeno a trovarne una logica. Un po’ come succede con i sogni. Ecco, lei stava assistendo da sveglia ad un sogno partorito dalla sua mente. Non poteva essere altro.

Perché nell’anno in cui la gente non aveva vissuto la primavera ed era rassegnata a dover rinunciare anche all’estate, Acciaroli non era mai stata così piena. Il crollo dei contagi e la fine del lockdown avevano fatto ripartire la macchina in ritardo ma la macchina ora macinava chilometri su chilometri, inarrestabile. Si lavorò qualche mese in meno ma in quei mesi, luglio e agosto, gli incassi furono così alti da non variare troppo, nella sostanza, il bilancio finale tra entrate e uscite, del tutto sovrapponibile a quello degli anni passati.

E mentre il sindaco, attorniato dalle sue braccia armate, continuava ad aspettare il reo confesso, lei si accese una sigaretta e si incamminò lentamente per tornare al suo albergo. Per tornare a casa sua.

Una casa che aveva immaginato in più occasioni decrepita e pericolante, invasa di muschio ed erbacce e puzza di muffa. La casa della sua infanzia e del suo presente e che forse non ci sarebbe stata nel suo futuro.

Una casa che, nella sua testa e davanti ai suoi occhi, era comparsa tante volte, all’improvviso, ad ogni ora del giorno e della notte, mezza demolita e ricoperta di scritte e disegni osceni fatti con lo spray sulle mura scrostate dall’incuria.

Le sue paure erano svanite. O meglio, si erano nascoste, pronte a ritornare più crude e buie di prima.

Ma ora no, si andava avanti cercando di non pensare a quel che era successo. O a quel che succederà.

Ora Giulia stava tornando in una casa che (e chi mai se lo sarebbe aspettato?) non era mai stata così solida e bella.

continua…

 

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