Salute 27 Dicembre 2020 12:02

Fame d’aria – Capitolo 13 (parte 1)

Su Sanità Informazione il racconto a puntate di una storia vera. Anzi, di più storie, di destini che si incrociano sulla spinta asfissiante di un virus che ci ha separati tutti

Fame d’aria – Capitolo 13 (parte 1)

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15 agosto 2020

Elisabetta fu invitata alla festa di laurea di un ragazzo che non conosceva. L’idea era venuta ad una sua amica che voleva farla divertire un po’ dopo le settimane tremende che aveva passato tra ospedale e casa. Fisicamente Elisabetta stava bene ma moralmente faceva ancora molta fatica a superare quel che aveva visto e provato fuori e dentro la sua pelle.

L’amica le disse che c’era questo ragazzo, un suo vecchio collega di università, che si era laureato con notevole ritardo a fine luglio e che voleva fare una grande festa in un locale la notte di Ferragosto, in modo tale da festeggiare anche il compleanno che cadeva nello stesso giorno.

Era stato lui a dirle di invitare chi voleva. E così lei aveva pensato di portarci il ragazzo ed Elisabetta. Lei, l’amica, le disse che ne aveva bisogno, che lei, Elisabetta, si era rimessa un po’ in carne da quando era tornata a stare bene ma si vedeva che era ancora molto giù di spirito:

“Esci un po’, fai amicizia con qualcuno, divertiti. Non puoi pensare sempre a ciò che è successo. Stai a sentire a me: dopo tanto tempo di isolamento, ti farà bene stare un po’ in mezzo alla folla…”.

Era proprio questo ciò che faceva paura ad Elisabetta. La folla. Non perché avesse paura di infettarsi di nuovo dello stesso virus: era guarita da poco e, almeno per il momento, ne era immune. Il problema era un altro. Elisabetta spiegò all’amica che quando vivi quel che ha vissuto lei ti passa la voglia di stare in mezzo alla gente. Se stai male perché hai bevuto troppo, disse Elisabetta, anche solo l’odore dell’alcol ti fa vomitare. Se fai un incidente con l’auto perché andavi troppo veloce, comincerai ad andare lento come una tartaruga ogni volta che sei al volante. Se invece sei stata male per un virus così infame, e che in quanto tale si trasmette da persona a persona, allora ti vien meno anche la voglia di avere contatti stretti con altri, specie se sconosciuti. Certo, poi le cose cambiano: chi è stato ad un passo dal coma etilico riprenderà a bere, così come chi sfrecciava in autostrada ricomincerà a farlo, prima o poi. Ma deve passare del tempo. E anche lei, Elisabetta, aveva bisogno di tempo.

L’amica però insistette così tanto che alla fine riuscì a convincerla. Le disse che lei e il ragazzo sarebbero passati a prenderla verso le 22. Lei annuì, non troppo convinta. Come detto, non ne aveva voglia ed era passato tanto tempo dall’ultima uscita serale con amici. Ma forse l’amica aveva ragione. Forse le avrebbe fatto bene.

In auto l’amica le spiegò che il vecchio collega di università si era laureato da casa, in collegamento internet con i professori. “Tu pensa un po’ – le disse –, l’università era chiusa e lui si è laureato online ma la festa di laurea la fa in un locale pieno di gente. Non è assurdo?”.

Elisabetta non poteva che darle ragione e, senza riuscire bene a capire perché, sentì un’emozione simile allo sconforto invadergli tutto il corpo, da capo a piedi. Ebbe la sensazione di aver commesso un errore, che a quella festa non ci sarebbe mai dovuta andare. E difatti, una volta immersa in quel mare di sardine l’una attaccata all’altra, ebbe tutto il tempo per rammaricarsene.

Non era autonoma, non poteva andar via da sola. Avrebbe dovuto aspettare l’amica e il ragazzo. Così si piantò in un angolo, da sola, provando in tutti i modi a calmare i sussulti del petto che le si gonfiava freneticamente in cerca di quell’aria che le era mancata per settimane e che, all’improvviso, riprese a mancargli proprio lì, in mezzo a tutta quella gente che le sembrava starsi divertendo alle sue spalle. Anzi, non solo alle spalle sue, ma anche a quelle di tutte le persone che ad un tratto della loro vita avevano capito quanto sia importante l’aria solo perché gli era stata tolta e rimessa in circolo forzatamente. Queste persone avevano capito che respirare è un diritto come tutti gli altri e che in quanto tale ti può essere tolto, e solo allora capisci quanto sia importante essere libero di compiere un’azione che il corpo fa automaticamente perfino nel sonno. Un’azione automatica che tutti danno per scontata ma che scontata non è quando ti ritrovi in un ospedale circondata da medici e infermieri che non hanno assolutamente idea di come fare per aggiustarti i polmoni.

Dopo l’ansia iniziale arrivò il fastidio. Il fastidio per tutte quelle persone a cui qualcuno o qualcosa, le sembrava, aveva cancellato la memoria. Per settimane, se non mesi, si era parlato di locali aperti ma con poca gente dentro e tutti distanziati e con le mascherine. Tutti sapevano che una cosa del genere era infattibile ma i locali aprirono lo stesso e questo fu il risultato. Gente ammassata l’una sull’altra che si passava sigarette e bicchieri e ballava a pochi centimetri dalle labbra di perfetti sconosciuti. Neanche l’ombra di una mascherina, ovviamente. Una cosa normale, un tempo, ma quello che stavano vivendo allora non era il tempo adatto.

Un gruppetto di ragazzi si mise a ballare a pochi centimetri da Elisabetta. Lei, seduta su un divanetto, provò ad alzarsi per andarsene ma le gambe non obbedirono.

“Ora mi alzo e me ne vado”, si diceva, ma il comando impartito ai muscoli non riusciva a scendere al di sotto del collo. Ed anzi era tutto il corpo a non rispondere, come un’automobile dalla batteria esausta che non si mette in moto. Rimase lì, congelata, con questi giovani che si dimenavano sempre più vicini a lei, e ora la urtavano pure, e lei non riusciva a scansarsi.

Il battito del cuore e il respiro accelerarono d’improvviso e lei ricominciò a sentire quella fame d’aria che le aveva sconvolto la vita solo pochissimi mesi prima.

Era ancora svenuta quando l’amica e il ragazzo la trovarono stesa sul divanetto. Pensavano fosse ubriaca.

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