Salute 21 Novembre 2019 11:05

Tumore al pancreas, farmaci e chemioterapia raddoppiano sopravvivenza. Reni (San Raffaele): «Spesso confuso con gastrite, serve formazione»

«È compito delle istituzioni migliorare le strutture, noi stiamo facendo dei percorsi scientifici per dare le giuste indicazioni, ma non sempre il messaggio viene recepito» sottolinea Giampaolo Balzano, Direttore del Programma Strategico di Coordinamento Clinico Pancreas Center dell’Ospedale San Raffaele di Milano

di Federica Bosco
Tumore al pancreas, farmaci e chemioterapia raddoppiano sopravvivenza. Reni (San Raffaele): «Spesso confuso con gastrite, serve formazione»

Importanti novità per la cura del tumore al pancreas che ogni anno colpisce in Italia oltre 13500 persone. Quella che oggi è la quarta causa di morte per tumore con una sopravvivenza a 5 anni pari all’8 percento potrebbe avere, con una corretta terapia, un miglioramento importante in termini di sopravvivenza e di qualità della vita. A renderlo noto i medici del San Raffaele di Milano che oggi, insieme a Verona, rappresenta il centro di eccellenza nazionale per la cura del carcinoma pancreatico.

«Le novità vengono dalla ricerca scientifica indipendente sui pazienti- spiega Michele Reni, direttore del Programma Strategico di Coordinamento Clinico Pancreas Center dell’Ospedale San Raffaele di Milano -. Abbiamo oggi allo studio uno schema a quattro farmaci (Paxg) che permette di raddoppiare le probabilità di vivere a due anni per i pazienti con malattia metastatica, senza aggravare la tossicità e con una discreta comodità per il paziente rispetto agli altri schemi attualmente in uso. Questo schema è stato riconosciuto da AIFA ad inizio giugno, che con la commissione tecnico scientifica ne ha approvato l’uso, ed ora aspettiamo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per rendere concreto l’utilizzo dello schema».

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Quando si scopre un tumore al pancreas spesso è tardi perché ci sono già delle metastasi. Ci sono dei campanelli di allarme a cui uno dovrebbe prestare attenzione per scoprirlo in anticipo?

«Purtroppo – riprende il professor Reni – non ci sono sintomi specifici che possono mettere in allarme il medico di medicina generale o il paziente e trattandosi di una malattia molto rara, in effetti, non è la prima diagnosi differenziale che viene in mente. A volte il tumore del pancreas è confuso con la gastrite perché compare un dolore nella regione dello stomaco o con un banale mal di schiena perché il dolore si focalizza nella regione dorsale, però di fatto questi sintomi abbastanza comuni nascondono qualche insidia. Certamente un calo di peso ingiustificato, o la comparsa di un diabete in età adulta o l’aggravamento di un diabete in età adulta, o ancora la comparsa di una trombosi nelle vene in assenza di malattie legate alla coagulazione, sono campanelli di allarme che non vanno sottovalutati. Soprattutto è importante che aumenti la consapevolezza nella popolazione che esiste questa malattia perché da interviste condotte dal Pancreatic Cancer Europe, due persone su tre non sanno neppure dell’esistenza di questo organo».

«La chemioterapia è sempre la regina delle cure del tumore del pancreas. – commenta Giampaolo Balzano, responsabile dell’Unità funzionale di Chirurgia Pancreatica del Pancreas Center, San Raffaele Milano –. Questa va integrata con altre cure, la seconda più importante è la chirurgia nella quale il paziente infonde sempre molte aspettative, ma purtroppo sono molto pochi i pazienti che possono essere sottoposti ad operazione a cui può fare seguito la guarigione. Le strade perciò che stiamo percorrendo sono quelle di migliorare la chemioterapia ed abbiamo fatto dei passi avanti con nuovi schemi che stanno dando dei buoni risultati e dovremmo continuare a lavorare su questa strada per offrire sempre più risposte ai nostri pazienti».

Quali sono gli errori da evitare?

«Purtroppo, la formazione dei medici non è spesso adeguata, i medici possono scegliere di non fare il trattamento corretto perché tanti anni fa si facevano interventi diversi da quelli che si fanno oggi e non c’è stato in alcuni di loro l’adeguamento della conoscenza, per cui continuano a proporre terapie e trattamenti che non sono il meglio che si possa offrire al paziente, sia in termini di chemioterapia, ma soprattutto di chirurgia. Si deve fare molta strada per offrire un servizio adeguato».

Dunque, in Italia ci sono troppe strutture non adeguate per gestire questo tipo di patologia. Cosa bisogna fare da questo punto di vista per migliorare?

«È compito delle istituzioni migliorare le strutture, noi stiamo facendo dei percorsi scientifici per dare le giuste indicazioni, ma non sempre il messaggio viene recepito. Sono le istituzioni che devono lavorare per poter selezionare ospedali corretti che diano terapie adeguate e fare in modo che negli altri ospedali non si eroghi una prestazione che non può dare le risposte al paziente».

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