Salute 12 Aprile 2021 10:17

Lutto perinatale, la psicologa: «Impossibile fingere che quel bambino non sia mai esistito»

Di recente la Nuova Zelanda ha approvato una legge che riconosce il congedo per lutto retribuito ad entrambi i genitori sia in caso di aborto spontaneo che di bambino nato morto. In Italia, solo dopo 180 giorni dalla data di inizio della gravidanza esiste una sorta di congedo simile alla maternità

di Isabella Faggiano

Il lutto perinatale non è un’esperienza da cancellare, ma una pagina del proprio vissuto da integrare nel libro della vita, sia per la mamma che per il papà. Che questa terribile esperienza tocchi nel profondo entrambi i genitori, e non solo la madre che ha portato in grembo il suo bambino, è un’idea che pian piano si sta facendo spazio in diverse culture. Di recente, infatti il Parlamento della Nuova Zelanda ha approvato una legge che riconosce un congedo per lutto retribuito ad entrambi i genitori, sia in caso di aborto spontaneo che di bambino nato morto. Lo Stato insulare è diventato, così, il secondo Paese al mondo ad aver introdotto questa norma, dopo l’India, dove sono riconosciuti tre giorni di congedo per lutto.

In Italia di fatto non esiste il congedo per lutto e solo dopo 180 giorni dalla data di inizio della gravidanza è riconosciuta una sorta di congedo simile alla maternità. Se l’aborto avviene prima dei 180 giorni è considerato come malattia. «Se l’interruzione della gravidanza si verifica – si legge sul sito dell’Inps – prima di 180 giorni dalla data di inizio della gravidanza, i successivi periodi di assenza dal lavoro certificati dal medico sono assenze di malattia».

Morte perinatale, i numeri

«Nella prima metà della gravidanza una coppia su sei va incontro a questo evento, nella seconda metà della gestazione perde la vita un bambino ogni 270. Una realtà drammatica – spiega Alessandra Bortolotti, psicologa, componente del gruppo di lavoro Psicologia e Salute Perinatale dell’Ordine degli Psicologi del Lazio – di cui si parla sempre troppo poco. In Italia, operatori sanitari e genitori possono contare sul sostegno di CiaoLapo, un’associazione la cui importanza è riconosciuta a livello europeo. Il lutto – continua la specialista – è un processo durante il quale si sperimentano molte emozioni. Un periodo della vita, che varia dai sei mesi ai due anni, in cui si attraversano varie fasi. Allo stesso modo, anche il lutto perinatale, per essere superato, ha bisogno di tempo, alla stessa stregua di qualunque altra perdita».

Il ruolo del padre

Il lutto perinatale provoca un dolore enorme ad entrambi i genitori, ma non sempre la mamma ed il papà lo affrontano allo stesso modo: «Spesso – continua  Bortolotti – il padre viene caricato di aspettative, come quella di sostenere la partner anche fisicamente, soprattutto nei casi in cui la donna sia stata sottoposta ad un intervento chirurgico». Ovviamente non sempre queste aspettative corrispondono alle reali capacità dell’individuo: «Non è scontato che un padre possegga le risorse necessarie per far fronte al ruolo attribuitogli. Tanto che – dice l’esperta – il modo di affrontare il lutto può indurre ad una crisi di coppia. Per questo, nei casi di maggiori difficoltà, quelli in cui anche la relazione sentimentale rischia di essere messa in discussione, è sempre meglio chiedere aiuto ad uno specialista».

Come affrontare la perdita

Distrarsi, occupare ogni minuto del proprio tempo non è la soluzione. «Non è possibile fingere o auto convincersi che questo bambino non sia mai esistito – sottolinea la psicologa -. Poter usufruire di un congedo lavorativo può aiutare l’attraversamento di questa fase, sia per l’incapacità dell’individuo di essere produttivo, sia per avere più tempo a disposizione da trascorrere con i propri cari».

Non esistono ricette segrete: ogni coppia, a seconda del suo vissuto, dovrebbe decidere di comune accordo come “attraversare” questo lutto. «Si può scegliere di lasciarsi sostenere da amici e parenti, così come di rinchiudersi nel proprio ristretto nucleo familiare, in compagnia di eventuali altri figli».

Pur trattandosi di un’esperienza del tutto soggettiva, alcuni sentimenti compaiono in fasi più o meno specifiche del lutto. «È molto probabile – spiega Bortolotti – che il primo periodo sia caratterizzato da incredulità. La negazione è un atteggiamento tipico delle esperienze traumatiche, per le quali risulta molto efficace l’EMDR. Poi, si potrà sperimentare una sorta di blocco che, pian piano, lascerà spazio a tristezza, rabbia e senso di vuoto».

L’esperienza non va cancellata, ma integrata nella propria vita

È giusto pensare ad un’altra gravidanza? «Il progetto di mettere al mondo un altro bambino – risponde la psicologa – fa parte del percorso di lutto, ma non può e non deve avere un senso compensativo. Tanto che le persone vicine alla coppia non dovranno mai pronunciare la frase “potrete avere un altro bambino”. Un nuovo nato non sostituirà mai chi non c’è più. Sarà sempre una nuova vita, diversa, distinta. Quando il lutto sarà elaborato e superato, pensare ad una nuova gravidanza sarà del tutto lecito. È proprio così, infatti, che nascono i bambini arcobaleno, quei neonati che riportano luce, colore e speranza nella vita di una famiglia dopo un aborto o una morte prematura. Il sereno dopo la tempesta può e deve arrivare per tutti, ma –  conclude Bortolotti – ad ognuno con i suoi tempi».

 

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