Lavoro 7 Febbraio 2022 17:36

Safer Internet Day: 9 medici su 10 temono le insidie del web, ma solo il 18% sa come difendersi

Prof. Razzante: «Se un medico dovesse finire nel cosiddetto tritacarne mediatico, i fatti di cui è stato protagonista non possono essere cancellati dalla rete. È possibile richiedere un aggiornamento ed una corretta indicizzazione delle informazioni che lo riguardano»

Sanno di essere in pericolo, ma non hanno armi per difendersi: 9 medici su 10 sono consapevoli che cybercrime e fake news possono mettere in pericolo la loro reputazione e, quindi, credibilità e carriera professionale, ma nell’82% dei casi, non avendo la minima idea di come tutelarsi, restano passivi al problema. A lanciare l’allarme, in occasione del Safer Internet Day, è Consulcesi, il principale network legale a tutela dei camici bianchi che, di recente, ha condotto un’indagine sul tema del diritto all’oblio.

Il Safer Internet Day, la Giornata per una rete più sicura, istituita nel 2004 dall’Unione Europea, si celebra l’8 febbraio di ogni anno per sensibilizzazione gli internauti sui rischi del web.

La web reputation

È online che si costruisce pure la reputazione, la cosiddetta web reputation, che influisce, nel bene e male, sulla carriera di medici e professionisti sanitari. Si tratta di un’arma a doppio taglio nelle mani sia del diretto interessato che di tutti i “frequentatori” della rete. «La web reputation risente anche dei nostri stessi comportamenti, di come noi pubblichiamo le informazioni che ci riguardano – assicura Ruben Razzante, docente di Diritto dell’Informazione all’Università Cattolica di Milano -. Non basta verificare ciò che scrivono gli altri di noi per sentirci al sicuro, ma occorre imparare ad avere autocontrollo ed autodisciplina rispetto ai contenuti che pubblichiamo online».

La sanità nel mirino del cybercrime

Chiunque può costruire o distruggere la propria reputazione online anche con un solo click. Ma ci sono professioni e informazioni più a rischio di altre. «In ambito sanitario i pericoli sono senza dubbio maggiori – continua il professore Razzante -. Il garante della privacy, nel corso degli ultimi 20 anni, ha prodotto moltissimi documenti che disciplinano la circolazione online dei dati in ambito sanitario: dalle cartelle cliniche, alle patologie che non è possibile comunicare sui certificati medici, fino alle condizioni di salute dei soggetti deboli e che hanno diritto ad una tutela rafforzata».

Aggressioni online a medici e sanitari

A confermare la maggiore esposizione ai pericoli della rete dei sanitari è Massimo Tortorella, presidente Consulcesi: «Si sta delineando un cerchio diabolico in rete delle aggressioni ai medici e agli operatori sanitari che collega il diritto all’oblio all’attacco informatico – commenta Tortorella – che stanno spendendo la loro vita per mettere fine alla pandemia sanitaria mondiale. Il passo è breve: una notizia per la quale poteva essere richiesta la cancellazione dal web può, se lasciata in rete, essere usata da un malintenzionato su internet che cerca la vendetta contro un medico o un operatore sanitario».

Il diritto all’oblio

La rimozione di contenuti ritenuti lesivi può essere richiesta esercitando il cosiddetto diritto all’oblio «un diritto – dice il professore Razzante  – disciplinato per la prima volta con il Regolamento generale per la protezione dei dati personali 2016/679(General Data Protection Regulation o GDPR), entrato a pieno regime nel nostro ordinamento giuridico nel maggio del 2018. Tale regolamento riconosce a ciascun cittadino il diritto di chiedere la cancellazione dei propri dati personali dagli archivi degli uffici pubblici laddove, ad esempio, questi dati non fossero più essenziali allo svolgimento delle attività per cui erano stati richiesti». Il diritto alla cancellazione delle nostre informazioni dagli archivi degli uffici è, dunque, un  diritto ormai acquisito.

L’informazione giornalistica

Il discorso cambia, invece, se l’informazione di cui si chiede la rimozione è stata pubblicata su una testata giornalistica. «I contenuti delle notizie devono essere valutati in base all’interesse pubblico che suscitano: non è possibile appellarsi sempre al diritto all’oblio e rifarsi, così, un’immagine “vergine” ogni qual volta se ne percepisca la necessità, chiedendo la cancellazione di informazioni ritenute “scomode”. Nel momento in cui un medico o un paziente illustre dovessero finire nel cosiddetto tritacarne mediatico, perché protagonisti di fatti di interesse pubblico, i fatti di cui sono stati protagonisti non possono essere cancellati dalla rete – dice Razzante -. Nemmeno a seguito di una richiesta ufficiale. Quel che il medico o il paziente in questione possono richiedere è, invece, un aggiornamento ed una corretta indicizzazione di queste informazioni a proprio carico».

Il processo mediatico

Facciamo un esempio concreto: un medico indagato e poi imputato per omicidio colposo, la cui storia è stata pubblicata su una o più testate giornaliste, potrà chiedere, al termine del processo conclusosi con un’assoluzione, che venga aggiornata la notizia di cui è protagonista. In questo modo, navigando in rete, il primo articolo che comparirà sarà sul verdetto del Tribunale e non sull’accusa di omicidio colposo.

La deindicizzazione

Sull’indicizzazione del contenuto si può agire anche contattando direttamente il motore di ricerca. «Se un utente desidera cancellare da Google un link che ritiene inopportuno, può compilare un modulo presente online sullo stesso motore di ricerca e indicare ciò di cui si chiede la cancellazione e le ragioni. Google valuterà la richiesta nel giro di un paio di settimane. Ma attenzione – avverte il professore della Cattolica -, se Google dovesse riconoscere il diritto all’oblio alla persona interessata, il link in questione sparirà dal motore di ricerca, ma resterà nel sito sorgente che l’ha prodotto (ad esempio quello di una testata giornalistica)».

I social

Il diritto all’oblio assume ulteriori sfumature se i contenuti ritenuti lesivi per la propria reputazione sono stati pubblicati sui social. «Sono oltre 30 milioni gli utenti che scrivono quello che vogliono sui propri profili social. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di persone che non hanno alcuna competenza nella scrittura di notizie, né una sensibilità deontologica. Gli utenti vittime di diffamazione a mezzo social per tutelarsi possono ricorrere all’articolo 595 del codice penale sulla diffamazione online. Tuttavia, esistono altri due temi fondamentali: l’autodisciplina, che ogni utente del web dovrebbe sempre tenere ben presente, e l’impegno dei gestori delle piattaforme ad essere tempestivi nella rimozione di contenuti inadeguati. Esistono policy, ormai collaudate e consolidate, studiate per tenere a bada i cosiddetti “leoni da tastiera” che – conclude Razzante – infestano lo spazio virtuale con offese di ogni tipo».

 

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