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Malattie e terapie 22 Settembre 2022

Fuoco di Sant’Antonio: perché è importante fare il vaccino. Il parere dell’esperto

Introdotto nell’organismo con la varicella, il virus dell’Herpes Zoster resta latente per anni prima di manifestarsi con vescicole e dolori intensi ai nervi che possono durare anni. Michele Orso (responsabile centro vaccinale Niguarda) «Per i soggetti fragili e over 65 consigliato il vaccino ricombinato in due dosi che garantisce una copertura del 90%»

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In pochi lo conoscono. Eppure secondo le stime europee, una persona su tre è destinata nella sua vita ad avere il fuoco di Sant’Antonio e di queste, due terzi, oltre i 50 anni. Numeri che, in un momento ancora di grande apprensione per il Covid, mettono in allarme. Secondo un sondaggio condotto da società di ricerche Ipsos Mori in diversi Paesi del mondo su un campione di 2500 persone è emerso che pochi sanno quali danni può causare l’Herpes Zoster e solo il 7% sa di essere ad alto rischio di sviluppare il fuoco di Sant’Antonio nei prossimi 10 anni.

Fuoco di Sant’Antonio: un virus subdolo pronto a colpire

Tutto ha inizio con la varicella, che di solito si sviluppa in età infantile e che rappresenta la porta d’ingresso dell’Herpes Zoster nell’organismo. Una volta entrato non viene eliminato completamente ma si rifugia in alcune cellule, nascosto nei gangli sensitivi craniali e del midollo spinale, per riattivarsi in qualunque momento, anche a distanza di decenni, scatenando il Fuoco di Sant’Antonio. Una volta risvegliato, il virus corre lungo i nervi per raggiungere la cute dove genera dapprima dolore e successivamente eruzione cutanea con vescicole piene di liquido che caratterizza appunto il Fuoco di Sant’Antonio. «Si tratta di una malattia estremamente debilitante e dolorosa – spiega Maurizio Orso medico responsabile del centro vaccinale dell’Ospedale Niguarda di Milano -. Ad esempio se prende il nervo ottico, rischia di compromettere la vista, se invece colpisce la zona motrice, rende difficoltoso lo svolgimento delle azioni quotidiane anche per lungo tempo. Senza dimenticare il dolore post malattia, può durare mesi dopo la scomparsa del virus ed è resistente alla maggior parte dei farmaci antidolorifici di primo livello».

Dolori intensi e qualche volta danni irreparabili

Proprio le complicanze rappresentano il tallone di Achille di questo virus che si manifesta dapprima con un senso di malessere diffuso, febbre, mal di testa, bruciore e ipersensibilità cutanea, a seguire vescicole simil varicella in alcune zone (di solito sulla schiena o sull’addome) che rimangono circa una settimana. Per poi lasciare spazio, nei casi più gravi a complicanze. Tra le più frequenti la nevralgia post erpetica che si manifesta con un dolore intenso nel nervo interessato e può durare mesi o addirittura tutta la vita. La sindrome di Ramsay Hunt, infezione che coinvolge il nervo facciale vicino all’orecchio e causa paralisi facciale e perdita dell’udito. Infezione batterica alle vescicole e infezioni a polmone, fegato, meningi ed encefalo.

Long Covid e farmaci biologici

Ad aggravare la situazione sembra esserci stato un incremento di “risvegli” post Covid anche se la scienza ancora non si è espressa nel merito. «Non è stato fatto uno studio – puntualizza Orso – però l’esperienza degli ultimi 18 mesi dice che si è verificata una riacutizzazione dell’Herpes Zoster in pazienti guariti dal Covid se pur non in modo significativo. Allo stesso modo esistono farmaci biologici per il trattamento di alcune malattie importanti come la rettocolite ulcerosa o l’artrite reumatoide che, tra gli effetti collaterali, hanno il risveglio dell’herpes Zoster». Che sia colpa del Covid, di farmaci biologici, o altri fattori scatenanti, sta di fatto che sicuramente una parte di responsabilità è da attribuire al declino fisiologico del sistema immunitario che ha inizio dopo i 50 anni e si accentua a 60 anni. «Difese immunitarie meno efficienti mettono a rischio i fragili, affetti da patologie croniche o con un sistema immunitario alterato da terapie oncologiche – sottolinea il responsabile del centro vaccinale di Niguarda -. Regione indica tra le categorie più a rischio che necessitano di protezione: i diabetici, i cardiopatici, pazienti con depressione o che potrebbero andare incontro ad una forma di immunodepressione a causa di terapie, come la rettocolite ulcerosa, l’artrite reumatoide, o ancora malati oncologici sottoposti a chemioterapia e anziani a partire dai 65 anni di età».

Fuoco di Sant’Antonio: copertura al 90% con un vaccino ricombinato

Nella fase acuta del fuoco di Sant’Antonio si utilizzano farmaci antivirali, come l’aciclovir che mitiga i sintomi e riduce la progressione della malattia. Fondamentale però che venga somministrato entro le 48/72 ore dalla comparsa delle prime manifestazioni cutanee. In alternativa si utilizzano corticosteroidi, antinfiammatori, oppioidi, antidepressivi e antidolorifici. Tra gli integratori la vitamina B12 sembra essere efficace, mentre sulle vescicole si può utilizzare un gel a base di cloruro di alluminio che riduce il prurito e accelera la guarigione. Ideale comunque resta il vaccino che permette di giocare d’anticipo ed evitare la comparsa della malattia. «Oggi è possibile utilizzare un vaccino ricombinante che sia difronte all’infezione, che al dolore post erpetico dà una copertura del 90% e rappresenta l’arma più efficace da utilizzare contro questo virus», sottolinea il responsabile del centro vaccinale di Niguarda. Il vaccino si somministra in due dosi a distanza di due mesi uno dall’altro e non oltre sei mesi, con una copertura di anni. «Non è prevista alcuna dose booster, neppure a distanza di tempo – puntualizza -. È un vaccino ben tollerato, gli effetti collaterali sono locali, con gonfiore nella sede di inoculo, poca febbre non significativa».

Tra coloro che rientrano nella fascia di età consigliata, chi è soggetto fragile con malattia cronica o sottoposto a cure chemioterapiche, in molti hanno la possibilità di usufruire gratuitamente delle due dosi contro il fuoco di Sant’Antonio.  Eppure, troppo pochi ancora ne fanno richiesta, mentre c’è chi non ha fatto la varicella e dunque potrebbe essere immune. «Questo capitolo è interessante – evidenzia Orso – Regione Lombardia non ha predisposto l’esecuzione di un test per verificare la presenza di anticorpi della varicella, oltretutto ci sono stati casi di persone convinte di non aver fatto la malattia in gioventù, ma di aver comunque preso in età adulta l’Herpes Zoster. Quindi tutti possono fare il vaccino ricombinato e, per diffondere il messaggio, un grande aiuto arriva dagli specialisti di branca che informano i loro pazienti. Noi abbiamo poi aperto degli spazi dedicati alla vaccinazione».

 

 

 

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