Salute 5 Ottobre 2021 12:24

Non mi piace festeggiare il mio compleanno: questione di carattere o disagio psicologico?

Attenzione alle reazioni spropositate, lo psicologo: «Chi mostra rabbia o panico anche alla sola eventualità di trovarsi al centro di una festa potrebbe soffrire di ansia o fobie sociali»

di Isabella Faggiano
Non mi piace festeggiare il mio compleanno: questione di carattere o disagio psicologico?

Evento inatteso, che coglie impreparati, suscitando meraviglia, per lo più gradevole”. Se si cerca tra le pagine di un vocabolario di lingua italiana è questo il significato attribuito alla parola “sorpresa”. Eppure non tutte sono realmente gradite, ancor meno se si tratta di una festa.

Se non mi piace festeggiare il mio compleanno

«Sono le persone introverse, che non amano stare al centro dell’attenzione, a preferire rimanere lontano dai riflettori anche il giorno del proprio compleanno – spiega a Cristian Pagliariccio, psicologo, esperto di problematiche dell’adolescenza per l’Ordine degli Psicologi del Lazio -. Una condizione che può essere considerata del tutto normale, a meno che non generi una tensione talmente forte da interferire con stato d’animo e umore». Nessuna paura, dunque, se non si è entusiasti dinanzi ad una festa a sorpresa tutta per sé, ma attenzione ad eventuali reazioni esagerate di ansia, panico o rabbia.

E se fosse una patologia?

«Chi non ama festeggiare il proprio compleanno e di fronte anche alla sola eventualità dovesse avere atteggiamenti spropositati (come rabbia o panico) potrebbe soffrire di disturbi di ansia sociale o di fobia sociale (patologie riportate nel DSM-5)», dice Pagliariccio. Ma come distinguere un semplice modo di essere da un atteggiamento patologico, senza necessariamente mettere il soggetto di fronte all’imbarazzo di una festa a sorpresa?. «Stati di tensione eccessiva alla presenza degli altri, paura di essere al centro dell’attenzione, ricerca di strategie per evitare di trovarsi in compagnia di “troppe” persone, anche utilizzando atteggiamenti inequivocabili come non presentarsi agli appuntamenti, sono tutti potenziali campanelli di allarme di disturbi come l’ansia e la fobia sociali. Ancora – aggiunge lo psicologo – in casi più estremi, la presenza altrui può essere percepita come una minaccia da cui difendersi in modo attivo o passivo. Nel primo caso si reagirà con rabbia eccessiva, nel secondo, consci dei propri limiti d’interazione sociale, si sceglierà l’isolamento che, nelle situazioni più estreme, come quello degli Hikikomori, sarà totale».

Se amo le feste degli altri

Tra un eccesso e l’altro, c’è sempre una “via di mezzo”: persone che pur non amando la propria festa, non provano alcun disagio a partecipare a quelle altrui. «L’amare o meno i festeggiamenti è, di solito, legato a quelle caratteristiche cosiddette pro-sociali, insite in ognuno di noi – spiega lo psicologo – . Si definisce pro-socialità la tendenza innata a fare qualcosa di buono per gli altri. Ed anche festeggiare il compleanno di una persona cara rientra nella categoria di azioni pro-sociali, fatte a fin di bene». Festeggiare è, dunque, un modo di vivere le relazioni con gli altri, «ma affinché possa davvero contribuire al miglioramento del nostro benessere psico-fisico – sottolinea Pagliariccio – è necessario sentirsi a proprio agio. Come? Mettendo in campo la propria capacità assertiva, quella dote che ci permette di dire di no, di declinare un invito anche se importante, evitando di ritrovarsi in una situazione sconveniente».

C’è chi non ama ricevere regali

Oltre ai festeggiamenti anche il suo simbolo per eccellenza può scatenare reazioni di disagio più o meno gravi: i regali non sono sempre graditi. «Le persone a cui non piace ricevere doni sono, di solito, individui che si sentono indegni delle attenzioni degli altri, dotate di un’autocritica eccessiva che li induce a convincersi di non meritare nulla, nemmeno un regalo. Tuttavia, il dono, se vissuto con piacevolezza e in sintonia con l’altro, rientra nell’ambito dei comportamenti pro-sociali, azioni che compiamo per il bene degli altri, ma da cui se ne può trarre anche un benessere soggettivo. Uno scambio alla pari che – conclude l’esperto – può essere riassunto in una sola meravigliosa parola: reciprocità».

 

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