Salute 9 Novembre 2021 15:27

“Nata due volte” il libro di Giorgia Bellini per salvare i coetanei dai disturbi del comportamento alimentare

È la storia autobiografica di una giovane che all’età di 13 anni scivola nel tunnel della bulimia. Dieci anni dopo trova la forza di raccontare la sua esperienza in un libro e crea una community di oltre 25 mila persone su Instagram e TikTok. «La mia missione? Cambiare la vita delle persone che soffrono di DCA, aiutare i giovani a chiedere aiuto e i genitori a capire»

di Federica Bosco
“Nata due volte” il libro di Giorgia Bellini per salvare i coetanei dai disturbi del comportamento alimentare

«In Italia sono quasi quattro milioni le persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare, soprattutto giovani. Sono ragazze e ragazzi che quotidianamente lottano contro il male che corrode l’anima fino ad annientarli e spesso accade nell’indifferenza generale perché non se ne parla abbastanza». A lanciare il grido di allarme è Giorgia Bellini, 24 anni di Perugia che dopo aver lottato, e vinto, la sua battaglia contro la bulimia ha deciso di rompere questo velo di omertà, di raccontare la sua storia e creare una community sui social. Ne è venuto fuori un libro: “Nata due volte” che in poche settimane è diventato un bestseller su Amazon, mentre su Instagram e TikTok ha raggiunto 25mila follower.

Ferite più profonde a causa della pandemia

A mettermi sulla strada di Giorgia è proprio una community professionale, LinkedIn. Poche parole bastano per capire che la ragazza ha molto da dire e da dare alle nuove generazioni che soffrono in silenzio perché si sentono invisibili. Il momento è ancora più delicato, la pandemia ha lasciato il segno e, in chi soffre di disturbi del comportamento alimentare, le ferite dell’anima sono più profonde. Come trovare la forza per reagire? Medici, psicologi, genitori si interrogano, ma forse la risposta arriva meglio e prima da chi conosce il problema perché ha attraversato quel guado, e ne è uscito. Oggi Giorgia ha 24 anni studia scienze dell’alimentazione a Perugia e segue un master per diventare life coach. «Aiutare chi soffre di DCA è la mia mission, il ricavato del libro andrà ad un progetto ambizioso per creare un servizio di assistenza per ragazzi e di sostegno per i genitori, anche per coloro che non hanno possibilità economiche», dice tutto d’un fiato appena iniziamo a chiacchierare.

Ha voglia di raccontarsi Giorgia, di far sapere che si può vincere, ma per farlo occorre crederci fino in fondo. Proprio come ha fatto lei quando ha capito di avere un problema. «Ho iniziato ad ammalarmi a 13 anni, mi sentivo poco apprezzata e mi vedevo le gambe grosse, così ho iniziato una di quelle diete fai da te che si trovano su internet. Ti dicono che puoi dimagrire 10 kg in 10 giorni e una ragazzina ci crede. Per otto anni non ho più mangiato carboidrati: pasta, pane, pizza sono spariti dalla mia tavola, mentre mangiavo frutta, verdura e proteine».

Una luna di miele ingannevole

All’inizio Giorgia pensa di aver trovato le risposte a tutti i suoi problemi. La bilancia segna meno due, tre, quattro e tutto sembra essere sotto controllo. «Il disturbo alimentare in un primo momento è un amico, un alleato. Si chiama fase “luna di miele” quando si ha il controllo, si riesce a digiunare per ore, a dimagrire facilmente. Tutti intorno sembrano apprezzare, mi fanno i complimenti perché riesco a perdere peso, a raggiungere gli obiettivi che mi ero posta. Invece è solo una illusione».

Giorgia, che è normopeso, non ha bisogno in realtà di dimagrire, ma percepisce di sé una immagine distorta. «Si chiama dispercezione corporea ed è un disturbo percettivo che porta chi è affetto da DCA a vedere e percepire il proprio corpo in modo alterato rispetto alla realtà. Mi vedevo le gambe grosse e non mi accettavo – aggiunge -. Ma in realtà le cause che portano ai disturbi alimentari sono molteplici».

Dalla solitudine all’isolamento

«Di sicuro, parlandone con lo psicologo dopo anni di terapia, ho capito che, se uno dei motivi era puramente estetico – a scuola mi prendevano in giro perché ero quella con le gambe meno snelle – in realtà era stata scatenante la mia paura di restare sola». Il timore della solitudine abbinato ad una forte sensibilità ha reso la ragazza suscettibile al giudizio degli altri. Il disturbo alimentare su questo terreno poi è cresciuto e ha proliferato. «In poco tempo ho perso tutti gli interessi, ho smesso di uscire di casa e di giocare a pallavolo. Se mi invitavano a cena, declinavo. Mi sono isolata, non avevo più hobby e dalla fase iniziale della luna di miele sono passata all’isolamento. Ad un certo punto è subentrata la bulimia. Mi abbuffavo per poi vomitare. Sono arrivata a farlo anche 6,7 volte al giorno». Giorgia all’età di 14 anni mangia di nascosto, inganna sé stessa e i suoi genitori. «I miei facevano finta di nulla, non hanno preso per mano subito la situazione come avrebbero dovuto – rimprovera Giorgia -. Sottovalutavano il problema».

Nonna Anna riconosce i sintomi della bulimia

La prima persona ad accorgersi del dramma di Giorgia è Anna, la nonna paterna. «Quel giorno mi stavo abbuffando davanti al frigorifero e lei mi ha visto. Ha subito capito la gravità della situazione e mi ha convinto a parlare con i miei genitori. Loro in un primo momento non volevano crederci, ma i sintomi erano ormai evidenti. Digiunavo per poi abbuffarmi e vomitare. Ero finita in un circolo vizioso e per uscire non c’era altra via che rivolgersi ad un centro specializzato». A 14 anni Giorgia entra per la prima volta in una clinica che cura i disturbi del comportamento alimentare. I medici vogliono ricoverarla, ma lei sceglie una terapia ambulatoriale per non perdere giorni di scuola.

«Per quattro anni ho seguito percorsi psicologici e terapie che puntualmente abbandonavo convinta di avere la forza di farcela da sola, mentre cresceva in me il senso di colpa per far spendere molto denaro ai miei genitori in percorsi privati, quando la sanità pubblica aveva liste d’attesa infinite». Ogni tentativo di Giorgia però puntualmente falliva: «Ricordo alcune scene di tensione con i miei genitori mentre ero a tavola, loro mi dicevano di mangiare ed io reagivo in malo modo, urlavo, sbattevo la porte e mi chiudevo in camera». Di fronte a tanta aggressività i genitori scelgono la via del silenzio, e per Giorgia arriva il momento di fare i conti con sé stessa.

«Ho toccato il fondo quando il mio comportamento è diventato la normalità in casa e i miei genitori non dicevano più nulla. In pochi sapevano dei miei problemi perché solo il 6% di chi soffre di disturbi del comportamento alimentare è sottopeso, quindi difficile da riconoscere».  A 18 anni Giorgia è stufa di essere invisibile per gli altri e compie un gesto disperato. «Ero depressa e sofferente ed un giorno ho preso 18 tachipirine. In realtà non volevo morire, il mio era un grido di aiuto. Per dire che esistevo e stavo male. In quel momento ho toccato il fondo ed ho capito che potevo solo io decidere se e come salvarmi.  Ho chiesto di essere ricoverata e sono rimasta per quattro mesi a Palazzo Tranquillini al centro di disturbi alimentari di Todi, dove grazie all’aiuto di medici, psicologi ho iniziato a stare meglio».

«Sapevo esserci una via d’uscita»

La voglia di vivere di Giorgia ha il sopravvento e la ragazza riprende in mano la propria vita. «I medici mi hanno aiutato, ma non hanno la bacchetta magica, quindi serve la volontà di ciascuno di noi per venirne fuori. Non ho preso psicofarmaci, ma ho seguito una terapia alimentare». Inizia a reintrodurre gli alimenti che prima aveva abolito, come la pasta e la mozzarella. Poi è stata la volta della terapia dello specchio per rientrare in contatto con le parti del corpo che vedeva negative. «Tutto gira intorno alla sfera psicologica perché i disturbi del comportamento alimentare sono malattie mentali. Non bastano pochi mesi, servono anni. I dottori dicono che per guarire ci vogliono almeno cinque anni».  Oggi Giorgia non ha più paura di guardarsi allo specchio o di mettersi in costume e finalmente sa di essere guarita perché sente di stare bene con sé stessa.

Chiedere aiuto senza vergogna

«Inizialmente ho tolto i sintomi, poi ho risolto i problemi psicologici. Ho voluto scrivere questo libro per dimostrare che avere un disturbo alimentare non è un’onta e non ci si ammala per scelta. La mia pagina Instagram è lo strumento per aiutare chi si sente inadeguato, sbagliato e si vergogna. Voglio pensare che se anche solo una ragazzina o un ragazzino (ormai i DCA sono in crescita anche tra i maschi) si salveranno grazie alle mie parole, avrò fatto il mio dovere. Il libro è rivolto anche ai genitori perché devono sapere cosa si nasconde dietro ad un disturbo alimentare, c’è tutta una parte emotiva e relazionale che influisce. Ai giovanissimi dico: cercate aiuto, non abbiate paura, dai disturbi alimentari si guarisce».

 

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