Salute 10 Marzo 2023 11:44

Long Covid, un “vecchio” anti-diabetico potrebbe ridurre sintomi del 42%. Lo studio in pre-print

Un comune ed economico farmaco per il diabete potrebbe porre fine, o quasi, all’emergenza Long Covid, la sindrome post-infezione che colpisce milioni di persone nel mondo. Uno studio clinico dell’Università del Minnesota ha scoperto che la metformina, assunta da circa 20 milioni di diabetici di tipo 2 negli Stati Uniti, ha ridotto del 42% il rischio che una persona sviluppi il Long Covid

Long Covid, un “vecchio” anti-diabetico potrebbe ridurre sintomi del 42%. Lo studio in pre-print

Un comune ed economico farmaco per il diabete potrebbe porre fine, o quasi, all’emergenza Long Covid, la sindrome post-infezione che colpisce milioni di persone nel mondo. Uno studio clinico dell’Università del Minnesota ha scoperto che la metformina, assunta da circa 20 milioni di diabetici di tipo 2 negli Stati Uniti, ha ridotto del 42% il rischio che una persona sviluppi il Long Covid, se utilizzata mentre è infetta. I ricercatori sono convinti che il farmaco possa «spegnere» la replicazione delle cellule infette nel corpo, riducendo lo stress ossidativo e l’infiammazione.

Solo il 6% che assume la metformina sviluppa il Long Covid

Nello studio, riportato tra i paper pre-print di The Lancet, solo il 6% di chi utilizza la metformina ha sviluppato il Long Covid contro il 10,6% che non ha assunto il farmaco anti-diabetico. Il Long Covid è stato definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come una sindrome post-infezione, responsabile dell’insorgenza di nuovi sintomi correlati al virus tre mesi dopo l’infezione iniziale. Questi sintomi possono durare da mesi ad anni e ancora oggi i medici fanno fatica capire le cause di questi disturbi. Il Long Covid comprende una vasta gamma di sintomi come mancanza di respiro, annebbiamento cerebrale, affaticamento e depressione. I Centers for Disease Control and Prevention stimano che negli Stati Uniti 1 adulto su 13, ovvero il 7,5%, abbia il Long Covid. Tuttavia, il dibattito sulla reale portata e gravità di questa sindrome è ancora aperto.

La metformina attenua l’infiammazione coinvolta anche nel Covid

Da diverso tempo scienziati di tutto il mondo sono alla ricerca di un trattamento efficace per fermare i sintomi. La metformina viene utilizzata contro il diabete, riducendo la quantità di zucchero rilasciata dal fegato nel sangue e migliorando la risposta del corpo all’insulina, l’ormone che regola i livelli di zucchero nel sangue. Ma ci sono sempre più evidenze che il farmaco abbia un’ampia varietà di altri effetti che non sono completamente compresi. Sembra infatti attenuare l’infiammazione, che è coinvolta in tutti i processi patologici, compreso il Covid. Nel nuovo studio il gruppo di ricerca del Minnesota ha reclutato 1.125 partecipanti che erano risultati positivi al Covid e presentavano sintomi. A ciascuno è stato somministrato in modo casuale un placebo, l’anti-parassitario ivermectina, la fluvoxamina (usata contro il disturbo ossessivo-compulsivo), la metformina o nessun farmaco. I soggetti sono stati seguiti circa nove mesi, dopo i quali i ricercatori hanno verificato se in seguito avessero ricevuto una diagnosi di Long Covid.

Se assunta 4 giorni dopo l’inizio di sintomi il farmaco riduce il rischio Long Covid di oltre il 50%

I risultati mostrano che la metformina è più efficace se assunta precocemente. Infatti, quando il farmaco è stato preso meno di 4 giorni dopo l’inizio dei sintomi, le probabilità di contrarre il Long Covid sono diminuite di oltre il 50%. Altri studi hanno dimostrato che la metformina può prevenire il Long Covid , riducendo l’infiammazione e lo stress ossidativo o interrompendo la replicazione del virus. Né l’ivermectina e né la fluvoxamina hanno ridotto le probabilità dei partecipanti di soffrire di Long Covid. Inoltre, i risultati potrebbero non essere del tutto applicabili alla popolazione generale poiché lo studio includeva solo persone in sovrappeso o obese e di età compresa tra 30 e 85 anni. Lo studio è ancora in fase di pre-stampa ed è in attesa di peer-review prima della pubblicazione su un’importante rivista medica. Ma gli esperti hanno già accolto la scoperta definendola «promettente» e «un’ottima notizia».

 

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