Salute 18 Febbraio 2023 09:00

Giornata Mondiale Sindrome di Asperger: «Presa in carico e inclusività sono ancora note dolenti»

L’associazione Gruppo Asperger Onlus: «In ambito lavorativo gli autistici sono i più penalizzati tra i portatori di disabilità»

Giornata Mondiale Sindrome di Asperger: «Presa in carico e inclusività sono ancora note dolenti»

Elon Musk, Greta Thunberg, Susanna Tamaro, Mozart, Isaac Newton. C’è un filo sottile, un comune denominatore, che lega questi nomi, uniti apparentemente solo dalla fama: la sindrome di Asperger. Nonostante dal 2013, con l’entrata in vigore del DSM-5, la sindrome di Asperger non venga più considerata una categoria diagnostica a sé, ma inclusa in quella dei “Disturbi dello spettro autistico di livello 1, senza compromissione intellettiva e del linguaggio associata e con bisogno di supporto non intensivo”, si tratta di una condizione su cui, in particolare, è ancora oggi necessario sfatare una serie di luoghi comuni. Non solo: è importante accendere un riflettore sullo stato dell’arte in Italia per quanto riguarda la presa in carico che, se effettuata in modo carente, può davvero condizionare la qualità della vita presente e futura delle persone con questa condizione. Un ruolo essenziale nel promuovere e sensibilizzare riguardo a questi due aspetti è ricoperto dalle associazioni. Nella Giornata Mondiale dedicata alla sindrome di Asperger, che ricorre il 18 Febbraio di ogni anno, abbiamo infatti affrontato queste tematiche con Stefania Goffi, presidente del Gruppo Asperger Onlus, storica associazione nata nel 2003 e con Angela Silletti, presidente del Gruppo Asperger Campania APS.

Innanzitutto, il non costituire più una categoria diagnostica a sé è uno svantaggio o un’ opportunità?

«Alcuni lo vedono come uno svantaggio – risponde Goffi – ma nella nostra associazione non la pensiamo così. La sindrome di Asperger è troppo spesso stata considerata una “disabilità lieve” con difficoltà di accesso ai servizi e alla presa in carico. Essere accorpati all’autismo ci permette invece di avere accesso, almeno sulla carta, a dei servizi in più. Ci consideriamo parte del mondo dell’autismo e collaboriamo attivamente con le associazioni dedicate».

Come si diagnostica questo specifico ambito dello spettro autistico?

«Sulle diagnosi abbiamo fatto passi da gigante negli ultimi vent’anni – afferma ancora Goffi – nonostante quest’ambito dello spettro autistico, che comporta minori compromissioni, ancora talvolta sfugge alla diagnosi, o comunque viene fatta in età più avanzata rispetto alla diagnosi di autismo con compromissione del linguaggio e intellettiva. La presa in carico è invece un dramma: se nell’autismo in generale la presa in carico ha sicuramente delle criticità, per quel che riguarda l’autismo di Livello 1 la situazione è quasi drammatica: 20 anni fa le uniche proposte fatte dai Servizi erano logopedia e psicomotricità e ancora adesso, molto spesso, vengono proposte le stesse cose anche a bambini di 6 o 7 anni appena diagnosticati».

Come dovrebbe avvenire invece la presa in carico?

«Le linee guida internazionali prescrivono invece una presa in carico intensiva – spiega Goffi – con il coinvolgimento dei genitori e di tutti i contesti di vita del bambino/ragazzo/giovane/adulto autistico. Una presa in carico a 360 gradi che riguardi la quotidianità e non solo le ore di “terapia” in ambulatorio. I genitori devono essere formati e informati anche per comprendere e gestire dei segnali da cui possono scaturire crisi. È importante capire che l’autismo è una condizione, non una malattia. Pertanto la presa in carico non mira a curare una patologia che di fatto non c’è, ma a facilitare le condizioni e la vita quotidiana della persona autistica, dandogli gli strumenti per riuscire più facilmente ad interagire con il mondo circostante».

Ci sono delle differenze nella presa in carico rispetto al territorio di appartenenza?

«Sicuramente in base al territorio in cui si nasce – risponde Silletti – si acquisiscono dei privilegi di fatto, determinati dalla competenza dei servizi territoriali proposti. Talvolta non è possibile accedere ad interventi psicoeducativi efficaci in quanto contrari non alle linee guida nazionali in materia di autismo, ma alla ideologia del responsabile dei servizi. Ciò spinge molte persone a trasferire la propria residenza in territori dove dove c’è una maggiore volontà di ascolto delle famiglie autistiche».

Cosa possiamo rilevare per quanto riguarda l’inclusività?

«Anche sull’inclusività c’è ancora molto da lavorare – afferma Goffi – ed è uno dei punti su cui la nostra associazione è maggiormente impegnata. Molte persone con autismo possono lavorare purché adeguatamente supportate. E c’è bisogno di una maggiore conoscenza da parte del mondo del lavoro. Le figure dei job coach sono fondamentali in questo formare e per accompagnare le persone con autismo nel contesto lavorativo. Ma è anche il contesto che necessita di essere pronto e formato, i colleghi devono avere le nozioni necessarie per comprendere come rapportarsi e per svolgere una vera e propria attività di mediazione sociale nel contesto lavorativo. Abbiamo alcuni progetti di inclusione lavorativa che funzionano bene e che possono fare scuola, ma in generale ci sono ancora molte difficoltà perché l’autismo risente ancora di uno stigma che purtroppo non si è ancora sradicato. Anche l’iscrizione al collocamento mirato non è sempre utile poiché resistono pregiudizi verso la disabilità intellettiva e l’autismo. All’atto pratico le aziende preferiscono assumere una persona con disabilità motoria piuttosto che una persona con autismo o con una disabilità intellettiva».

Quanto è ancora stigmatizzata la sindrome di Asperger?

«L’ “asperger” nell’immaginario collettivo viene rappresentato come un eremita senza sentimenti o come un genio incompreso. E’ necessario sfatare i luoghi comuni. Le persone con una diagnosi di disturbo dello spettro autistico possono essere “intelligenti” o meno esattamente come tutte le altre persone. L’autismo è altro. E’ un modo molto diverso di percepire, imparare, emozionarsi … E’ comunque una caratteristica della persona, e tutte le persone sono diverse fra loro. Sfatare questi luoghi comuni – conclude Goffi – e promuovere una informazione corretta e una maggiore consapevolezza è uno dei nostri obiettivi principali».

 

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