Lavoro 14 Dicembre 2020 11:05

Recovery Plan, Carbone (Fials): «Nove miliardi alla sanità una presa in giro, ne servono almeno 35-40. Abolire il numero chiuso»

Il Segretario generale del sindacato Fials tuona contro la bozza del Recovery Plan e chiede più risorse per la sanità. Poi contesta la discriminante sulle indennità tra professioni sanitarie nella Legge di Bilancio: «Non riempiamoci la bocca continuando a chiamarli eroi e poi materialmente li discriminiamo»

Recovery Plan, Carbone (Fials): «Nove miliardi alla sanità una presa in giro, ne servono almeno 35-40. Abolire il numero chiuso»

«I nove miliardi alla sanità emersi dalla bozza del Recovery Plan sono una presa in giro, ne servirebbero almeno 35-40 per permettere al Sistema sanitario di uscire dalla situazione di difficoltà in cui è entrato con l’emergenza Covid». L’autorevole opinione è di Giuseppe Carbone, Segretario generale del sindacato Fials, che spiega a Sanità Informazione la sua insoddisfazione per alcune scelte del governo in tema di sanità, l’ultima delle quali stata garantire un’indennità a medici e infermieri e non alle altre professioni sanitarie: una scelta però che potrebbe cambiare con il passaggio in Parlamento della legge di Bilancio. Carbone contesta la mancanza di visione della classe politica attuale e di quella passata e cita emblematicamente il problema della carenza di medici e infermieri: «C’è una grave carenza di infermieri ma anche di medici: possiamo risolverla solo abolendo il numero chiuso all’università per i primi e aprendo le scuole di specializzazione per i medici».

Segretario, il mondo della sanità è in subbuglio per le poche risorse destinate al settore nella bozza del Recovery Plan. Che ne pensa?

«I nove miliardi sono una grande presa in giro perché nel modo più assoluto non sono sufficienti alla gestione del sistema sanitario italiano. Questo maledetto Covid ha messo in difficoltà tutte le strutture sanitarie, nessuna esclusa, per cui oggi non si è nemmeno in grado di fare una programmazione di prospettiva. A questo va aggiunto che le regioni nella loro piena autonomia reagiscono come meglio credono: di fatto non c’è un indirizzo del governo. Come sindacato diciamo che il governo dovrebbe intervenire per un servizio sanitario che sia nazionale e non più gestito a livello regionale. Le regioni hanno dimostrato la loro incapacità organizzativa in un momento cruciale come questo. Siamo arrivati impreparati all’emergenza. Mancano le attrezzature e il personale non era preparato ad affrontare una simile emergenza. Oggi non possiamo dire che il personale sanitario, medici compresi, sia preparato a tutta questa richiesta di cure. Quando si arriva oggi in ospedale con un piccolo raffreddore diventiamo subito sospetti Covid. Spesso i dati inviati dalle regioni non son nemmeno veritieri. Oggi si sono tutti dimenticati dei famosi eroi: i sanitari erano tutti eroi ma materialmente non c’è stato nessun tipo di riconoscimento nei confronti di questi eroi. Il governo ha anche creato delle discriminazioni».

A che discriminazioni si riferisce?

«Tutte le finanziarie programmano gli investimenti che devono fare nell’anno successivo, in questo caso la programmazione è per l’anno 2021. In questa finanziaria per la prima volta nella storia italiana vengono dati dei soldi ai medici: circa 600 euro al mese in più con decorrenza gennaio 2021. Viene dato un minimo di riconoscimento agli infermieri, circa 2 euro al giorno, che avrà una decorrenza solo quando si inizierà a parlare di applicazione del contratto, discriminando in questo riconoscimento una serie di altre professioni sanitarie. Quasi che i tecnici di radiologia, ad esempio, non abbiamo nessun ruolo. Agli OSS non viene riconosciuto nulla. Quando parliamo di Covid dobbiamo guadare la struttura nel suo complesso. Non è fatta solo di medici e infermieri. I primi a riconoscere se un ammalato ha il Covid spesso è chi lavora nelle radiologie, a partire dai Tecnici di radiologia. Si tratta di un riconoscimento economico discriminante di alcuni lavori a discapito di altri. Gli eroi non possono essere solamente i medici. Se noi parliamo di collegialità all’interno di una struttura sanitaria, dove ci mettiamo dentro tutta l’équipe, dobbiamo dare un riconoscimento in rapporto alla specializzazione e alla responsabilità».

In pratica c’è una doppia discriminante: la prima tra medici e infermieri e la seconda tra gli infermieri e tutte le altre professioni sanitarie…

«Serve equità. Perché non dare riconoscimenti a tutti con la stessa decorrenza se tutti hanno dovuto affrontare l’emergenza nello stesso periodo? Se invece è una norma contrattuale, allora anche il riconoscimento ai medici deve essere trasferito nel momento del rinnovo contrattuale. Sostengo che questo governo non ha le idee chiare su come si possono risolvere i problemi sanitari. Noi come Fials vorremmo essere ascoltati su questi temi. Potremmo dare un supporto di indirizzo per evitare queste discriminazioni: ci sono operatori che oggi lavorano in ospedale con delle tute attraverso cui non riescono nemmeno a respirare, molti di loro non vanno nemmeno a casa per paura di infettare parenti, figli e coniugi. A loro dobbiamo dare i giusti riconoscimenti economici».

Quanti soldi dei 196 miliardi previsti dal Recovery Plan dovrebbero andare alla sanità?

«Secondo me alla sanità dovrebbero andare non meno di 35-40 miliardi. Non è possibile, ad esempio, che continuiamo a parlare di costruire nuovi ospedali e non ci preoccupiamo che fine faranno gli ospedali che andremo a chiudere. Dobbiamo valutare con attenzione se c’è la necessità di affrontare spese per nuovi ospedali o per fare degli interventi presso gli ospedali che attualmente operano. Perché non cerchiamo di fare investimenti in termini di attrezzature ultramoderne per far sì che l’ospedale pubblico funzioni? Oggi abbiamo una concorrenza spietata nel privato che lavora h24: tu nel giro di due-tre giorni fai gli esami. Le liste d’attesa invece pesano sulla sanità pubblica come un macigno. Facciamoli lavorare h24 anche nel pubblico: il personale è disposto a fare sacrifici. Non vuole uno stipendio regalato, però si lamenta nel momento in cui vede che il privato diventa sempre più ricco e il pubblico sta in un mare di guai. È giusto che il privato possa scegliersi le patologie con cui si guadagnano più soldi. Mentre quelle dove si guadagna poco vanno tutte nel pubblico? Qui c’è un’altra discriminante. Diamo delle regole e facciamole rispettare».

Un altro grande tema è quello delle assunzioni in questi mesi di emergenza. Molte delle assunzioni programmate non sono avvenute e quelle fatte sono tutte a tempo determinato…

«In effetti non si capisce quante assunzioni siano realmente avvenute. Una cosa è certa: in Italia c’è carenza di infermieri. Ci sono privati, o le RSA, dove quei pochi infermieri che ci sono lasciano queste strutture private e cercano di arrivare nel pubblico. Per cui si cominciamo a registrare grosse difficoltà nel territorio perché le RSA cominciano a restare senza infermieri e anche molte strutture private rischiano di trovarsi in difficoltà. In Italia non ci sono infermieri: noi dobbiamo per forza attingere all’estero non solo per gli infermieri ma anche per i medici. La colpa di chi è? Non solo di questo governo ma anche dei governi precedenti. Noi diciamo al governo: aprite le università ai medici e agli infermieri, non lasciamo il numero chiuso. Se è vero che servono 50mila infermieri, ma io dico che ne servono molti di più, creiamo questi infermieri, non facciamo arrivare gente dall’estero. Abbiamo tantissimi giovani che vogliono fare gli infermieri ma che non riescono a farlo per il numero chiuso. E poi aggiungo: con questa carenza di personale, che senso ha prendere una persona per sei mesi, poi magari rinnovarla per ulteriori sei mesi, poi ancora per 36 mesi e solo dopo pensare alla stabilizzazione. La stessa cosa facciamola anche per i medici. Non ha senso anche per i medici avere delle specializzazioni a numero chiuso. Manca la volontà politica di risolvere questo problema. I nostri politici sono inesperti, è una classe che cura egoisticamente i propri interessi ma non si preoccupa del povero cittadino che comunque è costretto ad andare nel privato o sopportare le lunghe lista di attesa nel pubblico. Il SSN potrebbe funzionare decisamente meglio di come funziona adesso».

Cosa si aspetta dalla legge di Bilancio?

«Ci siamo impegnati a fare una miriade di emendamenti propositivi per la risoluzione dei problemi. Abbiamo avviato un dialogo con la Commissione Affari Sociali della Camera. Le nostre proposte sono state condivise con i parlamentari del Pd. Sembravano saltati tutti gli emendamenti, ora pare ci sia un ripensamento. C’è ancora qualche parlamentare del Pd e dei M5S che ha delle riserve mentali. Mi auguro che molti dei nostri emendamenti siano accolti e in particolare che la risoluzione della discriminante tra le professioni sanitarie non ci sia più. Per il resto aspettiamo la provvidenza, ho delle riserve ma spero di sbagliare».

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