Lavoro 8 Ottobre 2022 15:13

FIMMG, Scotti riconfermato Segretario: «Serve medicina generale forte. Le Case di comunità così non funzionano»

Concluso il 79° Congresso Nazionale FIMMG. La squadra che supporterà Scotti per i prossimi quattro anni è composta da Pier Luigi Bartoletti, Nicola Calabrese, Fiorenzo Corti, Domenico Crisarà, Alessandro Dabbene e Noemi Lopes

di Arnaldo Iodice e Ciro Imperato

Piena riconferma per il Segretario Generale Silvestro Scotti e il suo Esecutivo Nazionale, con l’ingresso nella squadra della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale di una donna sotto i quarant’anni come prevedeva lo statuto nella modifica voluta nel corso del mandato dall’Esecutivo uscente. È con questo risultato che si è concluso il 79° Congresso Nazionale FIMMG a Villasimius in Sardegna.

All’esito delle elezioni, la squadra che supporterà Scotti per i prossimi quattro anni è composta da Pier Luigi Bartoletti, Nicola Calabrese, Fiorenzo Corti, Domenico Crisarà, Alessandro Dabbene e Noemi Lopes. Confermato come Presidente nazionale Giacomo Caudo. Malek Mediati è invece Presidente nazionale onorario. Inoltre, Carlo Curatola ha ricevuto da Scotti la nomina al ruolo di Segretario del Segretario Nazionale. Sanità Informazione ha intervistato, al margine del Congresso, il riconfermato Segretario Nazionale Silvestro Scotti.

Segretario, si è rivolto spesso alla platea e ha chiesto di feedback costanti. Mi ha colpito particolarmente una frase quando ha detto: «Ho paura, se voi avete paura». Che sensazione ha avuto?

«Credo che nel momento in cui si è il Segretario uscente di un sistema che si avvia alla parte elettiva, si debba raccogliere la sensazione, anche solo emotiva, di una platea che ti appoggia in quella decisione. Non credo che esista un leader che possa essere tale se si autoimpone, si autocandida. Penso che la cosa migliore per un leader sia essere sicuro che dietro ha una squadra che non ha paura, perché nei prossimi mesi e nelle prossime settimane ci sarà bisogno di alzare la voce e di portare sul tavolo delle competenze. Un sistema immobilizzato da una paura, che può essere anche legittima rispetto a tutti gli eventi di cui abbiamo parlato in questo Congresso, e che non riguardano solo la sfera sanitaria ma vanno ad impattare anche la sfera sociale, con la quale noi siamo strettamente connessi.

Nello studio del medico di famiglia non arriva solo il problema sanitario: arriva quello sociale, economico, delle famiglie che ti chiedono aiuto. Tutto questo poi ce lo portiamo a casa, nelle nostre famiglie. Siamo essere umani fatti di carne e ossa e chiaramente questo sistema può amplificare le tue paure. Credo che il Paese invece abbia oggi bisogno di una medicina generale forte, che non ha paura di dire quello che pensa sui modelli, sulle strutture, sull’evoluzione del servizio sanitario. Non perché vuole fare politica ma perché, sostanzialmente, vuole tornare ad un concetto di polis in cui nelle piazze sociali il medico di famiglia possa ritornare ad essere quel riferimento che qualche parte di stampa, negli ultimi anni, ha trattato con maleducazione».

Al tavolo oggi c’era il Ministro uscente Speranza. Troverete dei nuovi interlocutori e, come lei ha detto, siete pronti a portare sul tavolo delle proposte per fissare subito delle priorità. Cosa c’è in cima?

«In cima c’è sicuramente la necessità di chiarire, una volta per tutte, che cos’è un lavoratore autonomo all’interno dell’esercizio di una funzione pubblica. Basta con questa discussione sui ruoli giuridici. Io ho fatto una provocazione: non capisco perché per un libero professionista convenzionato si debba parlare di parasubordinato e non di parautonomo. Il problema è che l’autonomia professionale dà probabilmente delle occasioni, in economia di scala, anche a un Paese che forse non ha tante risorse. Se i medici costituiscono dei soggetti societari e, attraverso questi soggetti societari non andiamo più a impattare solo sul contenuto del fondo sanitario nazionale per i fattori di produzione, ma su quelli che sono i progetti per il lavoro, le agevolazioni fiscali che vengono fatte per le imprese..

Allora in quel caso qualcuno dovrebbe cominciare a pensare – quando fa gli aiuti sulle bollette, sulle linee digitali, sulla defiscalizzazione nel miglioramento delle attrezzature per entrare nei nostri studi – che probabilmente non è che fa un servizio economico al medico di famiglia, che così guadagna di più, ma fa un servizio al potenziamento di una medicina territoriale che così eroga servizi maggiori e migliori».

Oggi parlare di medicina di prossimità è “solo uno slogan” o no?

«Allo stato attuale delle cose rischia di essere uno slogan, a causa della mancata programmazione degli ultimi vent’anni. Porto con soddisfazione, nel rapporto con l’assessore Donini, il fatto che andremo in audizione in Commissione Salute proprio sul tema della carenza dei medici. Perché il vero problema per mantenere la prossimità è il fatto che ci siano abbastanza medici per garantirla. Da anni dico: superiamo il concetto del solo medico per numero di assistiti, cominciamo a parlare del medico per chilometro quadrato.

Pensiamo di edificare 1.500 case di comunità. Ma quanti sono gli ospedali in Italia? Più o meno di 1.450? Allora, gli ospedali sono più prossimi delle Case di comunità? Sembra quasi una barzelletta. È chiaro che se la Casa di comunità è un sistema funzionale al quale posso ricorrere per aumentare la mia intensità assistenziale per un paziente che abbia mobilità e ci siano servizi sociali, o di volontariato e così via, che lo permettano..

Allora in quella sede si possono centralizzare le funzioni in cui il medico di famiglia lavora in “economia di scala” con gli altri specialisti per raggiungere un obiettivo maggiore. Ma è già stato dimostrato che un cittadino preferisce aspettare il suo medico, quando torna in paese, piuttosto che fare chilometri e chilometri per una Casa di comunità. Il problema sono ancora e di nuovo le risorse umane. Noi dobbiamo capire, rispetto anche alle caratteristiche del territorio, quale modello (rurale, intermedio, suburbano, ecc) adottare. Perché, per paradosso, può risultare necessaria una prossimità anche all’interno di un quartiere di una città metropolitana».

 

 

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