Lavoro 12 Luglio 2019 11:32

#DestinazioneSanità in Sicilia. Tra immobilismo e mobilità, stabilizzazioni e precarietà, eccellenze e stanchezza

GUARDA IL VIDEO | Prosegue il viaggio di Sanità Informazione, in collaborazione con il sindacato dei medici CIMO, nell’Italia dei camici bianchi. La terza puntata del reportage è dedicata alla Sicilia, che raccontiamo tramite le immagini che abbiamo raccolto sull’isola e le parole di medici, sindacalisti, istituzioni e direzioni ospedaliere

#DestinazioneSanità in Sicilia. Tra immobilismo e mobilità, stabilizzazioni e precarietà, eccellenze e stanchezza

Immobilismo e mobilità. Sono queste, forse, le parole che abbiamo ascoltato più spesso da chi ci ha raccontato la sanità siciliana per la nuova puntata del reportage #DestinazioneSanità, in collaborazione con il sindacato dei medici CIMO. Due parole contrarie e opposte, ma che rappresentano una la causa dell’altra.

Se gli ospedali sono paralizzati perché per mesi non hanno avuto direttori generali, sanitari o amministrativi; se i medici sono pochi e costretti a lavorare molto di più di quanto dovrebbero; se le assunzioni di personale sanitario sono state bloccate per 10 anni; se le tecnologie sono carenti e, ad esempio, in strutture che prevedono il reparto oncologico non c’è la PET e in tutto il bacino della Sicilia occidentale non c’è una stroke unit; se, quindi, i pazienti che hanno un ictus a Palermo, a Trapani, ad Agrigento o a Caltanissetta, devono essere portati a Messina in eliambulanza, allungando i tempi, aumentando i rischi e incrementando i costi; o se, ad esempio, chi ha bisogno di cure oncologiche deve compiere un viaggio di 150 chilometri per arrivare alla struttura più vicina, molti medici hanno preferito andare a lavorare in altre Regioni. E molti pazienti decidono di farsi curare lontano dall’isola.

Eccola, la mobilità. Passiva, dei pazienti e dei medici che fuggono. Attiva, dei pazienti e dei medici siciliani che si cerca di far tornare a casa. Combattere la prima è tra le priorità di tutti i direttori generali con cui abbiamo parlato, che all’unisono accendono i riflettori sulla presenza di centri di eccellenza anche in Sicilia e sottolineano che le migrazioni sanitarie, in molti casi, non sono giustificate.

La mobilità attiva dei medici, invece, è uno dei passaggi previsti dalla Regione per completare le piante organiche: prima la stabilizzazione dei precari, poi la mobilità di chi lavora in altre parti del Paese e, infine, i concorsi. Tre fasi non ancora completate, che dovrebbero contribuire ad affrontare la carenza di personale causata dal blocco delle assunzioni e dal numero più elevato di pensionamenti per l’arrivo della gobba pensionistica. Un progetto elaborato proprio sulla base di linee guida redatte dalla CIMO, che ha «definito il fabbisogno di personale per ogni struttura complessa o semplice», spiega il presidente della Federazione CIMO-FESMED Guido Quici, e «denunciato la mancata chiusura di 17 presidi ospedalieri troppo piccoli per garantire la sicurezza delle cure».

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«Con la legge Madia in Sicilia sono state stabilizzate 3500 persone, e non è una cosa da poco – ci spiega Giuseppe Riccardo Spampinato, segretario regionale della CIMO –. Ma oggi rimproveriamo a questo governo di non aver stimolato sufficientemente le aziende a richiamare tanti colleghi che sono andati a lavorare nel Nord Italia».

«Io ho stabilizzato colleghi che erano precari da 25 anni, e che dopo 10 giorni sono andati in pensione», racconta Fabrizio De Nicola, direttore generale dell’ospedale Garibaldi di Catania. Ma non tutti hanno avuto la stessa fortuna. Proprio a Catania, incontriamo Giuseppe Reitano, un odontoiatra di 48 anni che lavora da 15 anni presso il reparto di odontoiatria per pazienti disabili del Policlinico Vittorio Emanuele. E da 15 anni è precario: «Come tante altre persone, sono in attesa di essere stabilizzato. Siamo veramente stanchi di questa situazione, perché non poter guardare con certezza al futuro, alla mia età, non è bello. La CIMO sta lottando tanto per aiutarci, e devo ringraziarla perché ci rianima e incoraggia sempre».

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La dottoressa Dafne Zappalà, otorinolaringoiatra, lavora nello stesso reparto di Giuseppe Reitano, ma è vicina alla pensione e ha quindi avuto modo di «vivere periodi migliori, in cui la sanità era veramente per tutti. Oggi, invece – prosegue – non si lavora più bene come una volta, e restare in servizio è veramente difficoltoso. Le unità operative vengono chiuse, i posti letto ridotti. Tutto diventa più difficile, tutto si restringe».

«Una trentina di anni fa il desiderio di fare la vita dell’ospedaliero era preminente; oggi, per una serie di fattori, quell’ambizione sta venendo meno», aggiunge Renato Passalacqua, direttore facente funzioni di Medicina della Migrazione dell’ASP di Catania.

È Giovanni Merlino, vicepresidente dell’Ordine dei Medici di Palermo, ad illustrarci le motivazioni di questo fenomeno: «Le corsie degli ospedali sono al collasso. I colleghi non possono andare in ferie né prendere permessi, perché a causa della carenza di personale non verrebbero sostituiti. Si lavora in emergenza, e in Sicilia, come in tutto il Paese, la sanità si regge sull’abnegazione dei medici della sanità pubblica».

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Più volte, nelle interviste raccolte, è l’aziendalizzazione della sanità a finire sul banco degli imputati e ad essere additata tra le cause della situazione attuale: «Noi abbiamo applicato alla sanità il modello dell’industria manifatturiera – dice Giovanni Merlino -. Ma il servizio sanitario è molto più complesso, e non può essere gestito con le semplici ed esclusive regole dell’economia».

Ma le direzioni ospedaliere non possono che essere di vedute opposte: «La Sicilia ha dimostrato che l’aziendalizzazione ha un significato – dice De Nicola -. Dieci anni fa eravamo la Regione canaglia, con circa un miliardo di consolidato passivo. Oggi il bilancio è in pareggio».

Angelo Collodoro, vicesegretario vicario di CIMO Sicilia, rivela tuttavia che alcune aziende ospedaliere di Palermo sono in grave deficit: «In testa c’è l’Arnas Civico, con 61 milioni di debito; poi c’è l’azienda Villa Sofia con 40 milioni; il Policlinico ha un deficit di 8 milioni. E se un’azienda non è in pareggio, come penalità avrà meno finanziamenti. Potrà quindi assumere meno personale, la produttività non potrà che calare e l’azienda finirà quasi al tracollo. È un circolo vizioso, e questa paralisi legata al ritardo delle nomine delle direzioni ospedaliere non può che far sprofondare ulteriormente la situazione».

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Il Policlinico di Palermo “Paolo Giaccone”, dalla fine dello scorso anno, è guidato dal torinese Carlo Picco, che incontriamo: «Ho trovato un’azienda un po’ ferma e non performante al massimo sul piano delle attività e della tecnologia, ma con potenzialità molto importanti. Abbiamo quindi predisposto un piano di investimenti basato sulle necessità più impellenti denunciate dai colleghi ed un piano di razionalizzazione delle attività. Ma una delle mie priorità – prosegue – è collaborare con i medici di famiglia e le altre strutture ospedaliere per condurre una politica di informazione volta a far conoscere ai siciliani i centri di eccellenza che ci sono in questa Regione. Vorrei che coloro che possono trovare una risposta sanitaria sull’isola non decidano di andare in altre Regioni».

«Secondo una classifica elaborata dal Sole 24 Ore e basata su 14 indicatori – aggiunge il Direttore generale dell’Ospedale Garibaldi De Nicola – la sanità di Catania è risultata al 23esimo posto. Prima di città come Roma, Varese o Udine. E bisogna ricordare che la mobilità passiva costa, perché se un siciliano va a farsi curare a Milano, a fine anno noi dovremo rimborsare la Lombardia».

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Ma è l’orografia della Sicilia, secondo il segretario di CIMO Sicilia Spampinato, a complicare la situazione: «Questa Regione non si presta a dire al paziente di andare al centro di eccellenza che si trova a decine di chilometri, perché non saranno di autostrada, ma di strade spesso difficili. Per cui noi abbiamo bisogno di ridisegnare la rete dell’emergenza, la rete delle stroke unit o la rete dell’infarto in base alle vere esigenze della popolazione».

Messina è uno degli esempi più concreti che consentono di comprendere le difficoltà logistiche che i pazienti possono riscontrare: «La provincia di Messina è molto lunga – ci spiega Giuseppe Giannetto, chirurgo generale presso l’ospedale di Milazzo – e questo spesso condiziona la tempestività dei servizi. Se, ad esempio, un cittadino residente alla punta estrema della provincia verso Palermo ha necessità di diagnosi e cure oncologiche e vuole rimanere fidelizzato all’azienda provinciale, è costretto ad arrivare a Taormina. Sono 150 chilometri di strada ad andare e 150 a tornare».

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Ad Agrigento la situazione non è diversa, ma è anzi aggravata dalla presenza di relazioni sindacali particolarmente ostacolate: «Sembra che siamo uno Stato a parte – rivela Rosetta Vaccaro, segretaria CIMO dell’Asp di Agrigento –. Qui, chissà perché, si fa fatica ad applicare quelle regole che valgono in tutto il resto d’Italia. Abbiamo lottato per ottenere cose semplici ma estremamente rilevanti come l’albo on line o il comitato antimobbing. La CIMO rappresenta la voce fuori dal coro, e stiamo portando avanti vere e proprie battaglie per far rispettare i diritti dei lavoratori e le prerogative sindacali».

«Per fortuna la CIMO in Sicilia ha una grande rappresentatività ed è molto forte – conclude il presidente Guido Quici -. Questo ci ha permesso di portare avanti un lavoro molto apprezzato, che unisce la denuncia alle proposte di costruzione».

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