Salute 11 Luglio 2023 16:11

Un cuore artificiale tutto italiano. Gerosa (cardiochirurgo): «Sfida possibile con partnership pubblico-privato»

Un cuore artificiale tutto italiano «è una sfida possibile». Ne è convinto Gino Gerosa, direttore dell’Unità operativa di Cardiochirurgia dell’Azienda ospedaliera universitaria di Padova, che nei mesi scorsi ha realizzato insieme alla sua équipe il primo trapianto al mondo da donatore a cuore fermo da 45 minuti. Nel suo intervento alla conferenza stampa che si è tenuta oggi al Senato il luminare padovano ha avuto l’occasione di parlare delle potenzialità di quella che può essere considerata a tutti gli effetti una nuova frontiera della cardiochirurgia

Un cuore artificiale tutto italiano. Gerosa (cardiochirurgo): «Sfida possibile con partnership pubblico-privato»

Un cuore artificiale tutto italiano «è una sfida possibile». Ne è convinto Gino Gerosa, direttore dell’Unità operativa di Cardiochirurgia dell’Azienda ospedaliera universitaria di Padova, che nei mesi scorsi ha realizzato insieme alla sua équipe il primo trapianto al mondo da donatore a cuore fermo da 45 minuti. Nel suo intervento alla conferenza stampa che si è tenuta oggi al Senato, organizzata dal senatore Antonio De Poli, il luminare padovano ha avuto l’occasione di parlare delle potenzialità di quella che può essere considerata a tutti gli effetti una nuova frontiera della cardiochirurgia.

Gerosa: «Oggi mancano donatori di cuore di ‘qualità’»

«Oggi solo un terzo delle persone che hanno bisogno di trapianto di cuore riescono ad averlo», ricorda Gerosa. «Il problema – continua – non è la mancanza di donatori ma la “qualità”. Prima della legge sull’obbligo del casco in moto, morivano tanti ragazzi giovanissimi e l’età media dei donatori di cuore era sui 18 anni. Oggi non ci sono giovani che muoiono per morte cerebrale – per fortuna – e i donatori di cuore hanno un’età media sopra i 60 anni», aggiunge. Con l’innovazione del trapianto di un cuore fermo oltre 45 minuti si può già incrementare del 30% l’attuale numero di trapianti. «Questo significa che ancora il 60% del totale di chi è in lista d’attesa non lo avrà», commenta il cardiochirurgo.

Schillaci: «Il progetto consentirebbe di aumentare il numero dei trapianti di cuore»

Un cuore artificiale potrebbe essere la risposta al problema. Un progetto ambizioso, quest’ultimo, che entusiasma anche il ministro della Salute Orazio Schillaci. «Le tecnologie sofisticate sono sempre più motivo di nuove sfide come quella che viene presentata oggi, relativa ad un cuore artificiale totalmente italiano», commenta. «Un progetto che consentirebbe di aumentare il numero di trapianti di cuore ovviando al problema della carenza di donatori», aggiunge. Per Schillaci serve «valorizzare e sostenere quello che qualche giorno fa ho definito il tesoro della nostra nazione, il cervello degli italiani. Perché se è vero che le tecnologie ci fanno compiere grandi progressi, ci aiutano a migliorare la vita di tante persone e a salvare, per fortuna, sempre più vite umane, questo è possibile solo se incontriamo professionisti animati dalla passione, dall’amore per la ricerca e se dispongono di un solido e straordinario bagaglio di competenze, proprio come i professionisti che oggi sono qui presenti».

Un cuore artificiale made in Italy costerebbe circa 50 milioni in 5 anni

Secondo le stime di Gerosa realizzare un cuore artificiale tutto italiano avrebbe un costo di «circa 50 milioni su un tempo plausibile di 5 anni». E sottolinea: «Non mi sembra molto». Il medico ipotizza anche «una partnership pubblico-privato». Due i possibili attori indicati: «Leonardo, un’azienda che fa armi – spiega Gerosa – e che avrebbe la possibilità di creare un’arma di vita»; l’altro partner privato «potrebbe essere Ferrari. E’ vero – continua – che non è nel core business di Ferrari creare device medicali, ma la tecnologia che c’è all’interno di una macchina è sicuramente utilizzabile in molti casi anche per un cuore artificiale. Tutti i pazienti che girano con un cuore artificiale hanno una sorta di borsetta, in vita, con le batterie e l’unità di controllo. Potete immaginarvi una borsetta con le batterie e l’unità di controllo rosso Ferrari con un cavallino rampante?».

Il 98% dei pazienti dopo il trapianto ritorna alla vita normale di prima

Attualmente, ha ricordato Gerosa, «sono disponibili due cuori artificiali utilizzabili. Uno nordamericano pneumatico che è estremamente rumoroso e che non garantisce una vita di qualità, e uno molto più recente francese, che è molto più sofisticato dal punto di vista tecnologico, ma troppo grande. Meno del 75% degli uomini e meno del 25% delle donne sono potenziali riceventi». Il trapianto di cuore oggi «resta la miglior risposta terapeutica non solamente in termini di sopravvivenza – a 10 anni dal trapianto vive il 50% dei pazienti trapiantati – ma soprattutto per la qualità di vita che riesce a garantire, perché un paziente un minuto dopo che gli abbiamo garantito la sopravvivenza ci chiederà una sola cosa: qualità della vita». E «il 98% di pazienti al primo anno dopo il trapianto torna all’attività lavorativa e a una normale vita di relazione. Quindi trapianto resta il gold standard».

 

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