Salute 17 Novembre 2022 17:25

Emicrania: la legge c’è ma mancano i decreti attuativi per migliorare le condizioni dei pazienti

Appello di Fondazione Onda e delle società scientifiche affinché il nuovo governo prenda in carico la questione e dia corso ad una serie di cambiamenti: dal codice di esenzione ad un accesso alle cure più rapido, all’impiego dei monoclonali fino all’introduzione dello psicologo nei centri cefalee

Emicrania: la legge c’è ma mancano i decreti attuativi per migliorare le condizioni dei pazienti

L’Emicrania, terza patologia più frequente al mondo e seconda più disabilitante, secondo i dati dell’OMS,  dopo essere stata riconosciuta con la legge 81 del 2020 malattia sociale in Italia, necessita di una serie di interventi per dar corso ai decreti attuativi e permettere così ai 6 milioni di italiani che ne soffrono –  due terzi dei quali donne -, di avere giusta dignità e possibilità di cura concrete. A chiedere a gran voce un intervento al nuovo governo è Fondazione Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere) che ha messo intorno ad un tavolo istituzionale i principali stakeholder: istituzioni, comunità scientifica e associazioni di pazienti, per raccogliere idee e un impegno concreto e condiviso al fine di dare attuazione alla legge 81/2020.

«L’iniziativa è nata per garantire una appropriata e tempestiva presa in carico dei malati, nonché un accesso equo e omogeneo alle cure – ha spiegato Francesca Merzagola, Presidente di Fondazione Onda – il nostro intento è di scrivere un documento istituzionale per arrivare in tempi brevi ai decreti attuativi e allo stanziamento di fondi per modelli innovativi di presa in carico dei pazienti. L’impegno per dare un impulso alla legge c’è, anche da parte delle Regioni».

Malattia sociale colpisce in prevalenza donne nella fascia di età tra i 20 e 50 anni

La patologia sembra dunque essere uscita dal cono d’ombra in cui si trovava. «La cefalea primaria cronica non è più considerato un sintomo, ma una vera e propria malattia – ha sottolineato l’onorevole Arianna Lazzarini della commissione affari sociali della Camera dei deputati, promotrice della legge, intervenuta al dibattito – va individuata, riconosciuta e curata nel giusto modo. Ma non basta, occorre smentire il luogo comune secondo cui interessa solo la terza età, non è vero. Ad essere maggiormente colpita è la fascia tra i 20 e i 50 anni; dunque, in attività lavorativa e soprattutto sono le donne ad essere più interessate anche in ambito scolastico dove il 28% delle donne e il 5% degli uomini hanno dichiarato di aver avuto un calo sul rendimento scolastico pari al 50% a causa della patologia. Occorre dunque ascoltare le istanze della gente e relazionarsi con gli attori della Sanità per portare a casa il miglior risultato possibile».

Le proposte: codice di esenzione, utilizzo di monoclonali e psicologi nei centri cefalee

All’appello di Fondazione Onda hanno risposto in molti. Paola Pisanti, consulente esperto del Ministero della Salute  ha proposto: «di assegnare un codice di esenzione ai pazienti con cefalea cronica per monitorare la patologia e la disabilità che ne consegue – ha detto – e di attuare modelli interdisciplinari con l’utilizzo di PDTA per la valutazione diagnostica, terapeutica e assistenziale che tenga conto dei livelli di intervento riportati nelle linee guida e nelle realtà operative delle varie regioni»; Paolo Calabresi, Presidente SISC, società italiana per lo studio delle Cefalee ha focalizzato l’attenzione su due elementi fondamentali: comunicazione e costi. «Il dialogo tra pazienti, medici di medicina generale e neurologi territoriali è essenziale – ha rimarcato – Questa malattia se non adeguatamente affrontata con la prevenzione e le cure comporta costi elevati diretti e indiretti a cui è possibile fare fronte con un lavoro condiviso tra istituzioni e comunità scientifica che tenga conto della fattibilità e della sostenibilità economica».

Anche il vicepresidente del Centro per la cura delle emicranie e delle cefalee (CISC), Luigi Alberto Pini ha fatto notare che «quando si parla di emicrania, non si fa riferimento solo al valore economico del farmaco che genera un costo annuo che si aggira tra i 3 e i 4 mila euro, ma anche della perdita di produttività lavorativa che secondo uno studio danese è nell’ordine di 15 mila euro annuo pro-capite – ha posto in evidenza -. Questo significa che nonostante la presenza dei centri cefalee, ormai capillari sul territorio, occorre una formazione affinché i pazienti conoscano le possibilità di accesso e di cura, oltre al fatto che maggiore attenzione deve essere rivolta anche ai caregiver».

La mappatura degli ambienti territoriali

Di una maggiore  formazione e di una corretta comunicazione ha parlato anche Giovanna Trevisi di AINAT (Associazione Italiana Neurologi Ambulatoriali Territoriali) e segretario regionale SISC che ha portato l’esempio della sede territoriale di Lecce come unico centro del sud dove si utilizzano i monoclonali e la tossina botulinica unica. «Grazie ad una mappatura degli ambulatori territoriali e ad un ruolo attivo di MMG e pediatri di libera scelta che hanno un rapporto fiduciario con i pazienti– ha sottolineato – questi vengono indirizzati ai centri cefalee. Lo stesso devono fare i farmacisti, mentre i neurologi territoriali dovrebbero avere un maggior coinvolgimento nei tavoli istituzionali». «I pazienti devono essere riconosciuti e per farlo occorre fare formazione anche nella società e nelle scuole.  È necessario creare una cultura emotiva intorno alla malattia. Noi stiamo cercando di produrre dei dati, per far emergere tutto il sommerso» ha ammesso Fabio Frediani coordinatore regionale Società Italiana Neurologi e Neurochirurghi (SINO).

Piero Barbanti, Presidente ANIRCEF (Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee) dopo aver definito l’emicrania come un figlio di un dio minore, ha puntato il dito invece contro i ritardi inammissibili dall’insorgenza dei primi sintomi alla diagnosi. «Secondo il registro italiano dell’emicrania, l’età media di esordio della patologia è di 17 anni, mentre il primo accesso ad un centro cefalee è in media intorno ai 36 anni. Questo significa che esiste un ritardo di circa 20 anni nelle cure e una scarsa consapevolezza della malattia. Non solo, circa il 68% dei pazienti ha fatto visite specialistiche non appropriate e il 95% ha affidato la diagnosi alla risonanza magnetica che non è necessaria. Il nuovo corso per i pazienti con emicrania dovrebbe limitare l’accesso agli esami diagnostici per prediligere invece i centri cefalee, definire gli emicranici cronici e quelli ad alta frequenza per garantire un accesso rapido alle cure, indirizzare i pazienti verso i monoclonali che hanno una risposta dell’88% contro i farmaci tradizionali che hanno un aderenza del 37%, infine far dialogare le strutture sanitarie e fare rete tra regione e istituzioni sul modello Emilia-Romagna».

E i pazienti? La voce di chi è costretto a convivere con la malattia invisibile per anni è stata ben rappresentata da Lara Merighi coordinatore laico nazionale di Al.Ce. (Alleanza Cefalalgici) che ha rivendicato come paziente di lunga data «la necessità di inserire le cefalee nei Lea e nella cronicità, una formazione per i facilitatori dei centri cefalee e la figura dello psicologo per chi soffre di ansia e depressione».

 L’impegno del governo

Fondazione Onda e le società scientifiche aderenti, produrranno un documento che verrà  recapitato all’Onorevole Marta Schifoni (commissione affari sociali della Camera dei deputati) che ha confermato l’intenzione di adoperarsi affinché si arrivi presto a una soluzione. «Sono farmacista – ha dichiarato  –, conosco bene la patologia; l’emicrania oggi è la cartina di tornasole di tutte le criticità della sanità italiana: malattia di genere, ritardi diagnostici e tempi di attesa troppo lunghi per le cure. Al riguardo stiamo lavorando per implementare la telemedicina in modo da garantire anche le cure da remoto».

 

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