Salute 19 Dicembre 2018 17:50

Carenza medici, i direttori dei Ps del Lazio lanciano l’allarme: «Servizi rischiano tracollo». Magi (OMCeO Roma): «Rendere attrattiva specialità»

Il Presidente dell’Ordine dei Medici della Capitale annuncia che chiederà un tavolo in regione per far sì che le risorse umane in organico non siano basate solo sul numero degli accessi ma anche sulle reali attività svolte. Pugliese (Pertini): «Età media è 54 anni, ma qui si fanno tanti turni di notte»

Carenza medici, i direttori dei Ps del Lazio lanciano l’allarme: «Servizi rischiano tracollo». Magi (OMCeO Roma): «Rendere attrattiva specialità»

I direttori dei Pronto soccorso del Lazio alzano la voce e lo fanno per denunciare le difficili condizioni in cui sono costretti ad operare e la cronica carenza di camici bianchi nel settore dell’emergenza-urgenza. Lo fanno in occasione di un incontro convocato dal Presidente dell’Ordine dei Medici di Roma, Antonio Magi, dal titolo emblematico: «Carenza del personale medico: i Pronto soccorso non possono più attendere». Tanti i nosocomi della Capitale rappresentati: dal Sandro Pertini all’Umberto I, dal Gemelli al Sant’Eugenio, e poi anche i dirigenti delle altre province del Lazio, a cominciare dal Presidente dell’OMCeO Frosinone e direttore del Pronto soccorso dell’Ospedale di Frosinone, Fabrizio Cristofari, fino all’omologo di Rieti Dario Chiriacò.

In un documento da inviare al Ministro della Salute Giulia Grillo, al Ministro dell’Istruzione e dell’Università Marco Bussetti, al Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e all’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato (invitato all’incontro) hanno messo nero su bianco le loro richieste: in primis chiedono di incrementare il numero delle borse regionali destinate alle scuole di specializzazione in medicina d’emergenza-urgenza, anche rivedendo i criteri di accesso per i medici che già lavorano nelle strutture. In secondo luogo rivedere la Dca (Decreto Commissario ad Acta) Regionale 8/2011 che basa le risorse umane in organico solo sul numero degli accessi e non sulle reali attività svolte dal PS. Poi serve migliorare le condizioni di lavoro nei Pronto soccorso in maniera da rendere questo mestiere più appetibile. Ma anche migliorare le strutture organizzative, sottrarre alla responsabilità gestionale del Pronto soccorso i pazienti per i quali è stato già deciso il ricovero, redistribuire il lavoro tra professionalità diverse e ampliare i Fast-Tracks. Sono queste le 7 richieste che i direttori dei Pronto soccorso degli ospedali di Roma e del Lazio hanno presentato oggi nel corso di un convegno organizzato dall’Ordine dei Medici di Roma.

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I numeri sono da capogiro: nel 2017 nella sola regione Lazio sono stati due milioni i pazienti accolti nei Pronto soccorso e un numero uguale è previsto per il 2018. Secondo i direttori di Ps si tratta di «proposte capaci di dare risposte in tempi brevi, evitando il rischio di un tracollo nell’offerta dei servizi di emergenza».

Antonio Magi ha assicurato che l’Ordine dei Medici di Roma si impegnerà a promuovere un tavolo in assessorato Sanità della Regione Lazio per rivedere il Dca regionale 8/2011, che basa le risorse umane in organico solo sul numero degli accessi e non sulle reali attività svolte. In apertura ha tracciato un bilancio introduttivo portando alcuni dati: negli ultimi anni in Italia gli accessi ai Pronto soccorso sono in costante aumento (oltre 20 milioni e mezzo di accessi nel 2016). Tra le regioni con il più alto tasso di accessi in proporzione alla popolazione ci sono Emilia Romagna, Abruzzo e Valle d’Aosta (tutti al 40%), in coda la Campania (24%) e la Sardegna (25%). Ben il 70% degli accessi avviene per decisione autonoma dei pazienti, contro un 15,5% che avviene in seguito a un trasporto urgente. Tra le cause principali traumi e ustioni (26,56%) e dolore addominale (6,81%). I dati segnalano anche l’enorme mole di diagnostica per immagini in regime di Pronto soccorso. Emergono dunque l’uso improprio del Pronto soccorso per superare le liste d’attesa e il fenomeno della medicina difensiva, perché «la diagnostica per immagini ha maggiore valenza legale delle prescrizioni e un impatto assicurativo/risarcitorio».

«L’assenza di supporto specialistico sul territorio ai Medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta, le lunghe liste d’attesa, le difficoltà nell’accesso alle cure da parte delle fasce economiche deboli. Tutto questo contribuisce ad ingolfare i Pronto soccorso», sottolinea il Presidente dell’Ordine dei Medici di Roma Antonio Magi che lancia le sue priorità: «Bisogna mettere in condizione i Pronto soccorso di operare meglio innanzitutto cercando di eliminare l’assistenza successiva a un accesso a un Ps. Molto spesso ci sono pazienti che vanno al Pronto soccorso e non hanno bisogno di un trattamento di urgenza ma di essere assistiti normalmente. Dunque una rete specialistica territoriale collegata o anche lo stesso ospedale dove si trova il Pronto soccorso possono contribuire ad alleviare levare quel carico assistenziale. Così si libererebbe non meno del 50% di quella che è l’attività di un Pronto soccorso. Importante è anche gratificare quelli che fanno questa attività che è rischiosa e molto usurante: occorre dare un benefit di natura economica per riconoscere il loro tipo di attività. Poi speriamo che la regione Lazio esca dal piano di rientro così si possono fare molte più assunzioni di quelle che si stanno facendo».

Il tema del funzionamento dei Pronto soccorso è anche legato a quello delle aggressioni: nel Lazio è attivo un Osservatorio sul fenomeno: «Sta andando bene – sottolinea Magi – è uscito il primo documento in cui le aziende vengono obbligate a dare assistenza ai colleghi che hanno subìto una violenza. Questo tema si collega al funzionamento del Pronto soccorso: un paziente che dopo due giorni sta aspettando la visita può perdere la pazienza e poi può capitare che se la prenda con chi si trova davanti, medico o operatore sanitario».

Dai territori si alza la voce di chi è quotidianamente alle prese con i pazienti e con la difficile gestione di un Pronto soccorso. «Bisogna invogliare i medici con i benefit a fare questo lavoro, magari con la possibilità di scelta a 55 anni di uscire dall’emergenza-urgenza. Servirebbe la possibilità di effettuare la specializzazione direttamente nei Pronto soccorso», ha sottolineato Francesco Franceschi, Direttore del PS del Policlinico Gemelli. In molti hanno denunciato la difficoltà di reperire camici bianchi in questo settore, soprattutto nelle aree più periferiche: «I medici arrivano e poi se ne vanno. Ci dicono: non vogliono vincere per restare a Civitavecchia. Serve sul contratto una piccola nota: tu per 5 anni resti qui. Poi servono incentivi per chi sta in periferia», sottolinea Antonio Carbone, Direttore sanitario del Polo ospedaliero Asl Roma 4. Stessa problematica che hanno rilanciato il Direttore del PS dell’Ospedale Parodi Delfino di Colleferro (Roma) Paolo Daniele e Maria Paola Saggese (Ps Santo Spirito) che ha sottolineato: «Anche il Santo Spirito che è considerato un’isola felice non è attrattivo per i medici». Accalorato l’intervento di Giulio Ricciuto (Ps G.B. Grassi di Ostia): «I posti letto non ci sono, serve appropriatezza in entrata e sicurezza in uscita. Sul territorio ci si mette troppo a fare un test. Noi non facciamo medicina difensiva, siamo dalla parte dei pazienti. Io vorrei vedere i miei ragazzi che tornano a casa contenti, non che piangono». Critico anche l’intervento del Direttore PS dell’Ospedale Sandro Pertini Francesco Rocco Pugliese: «Mancano 1600 medici di Pronto soccorso in tutta Italia. Perché un medico dovrebbe scegliere questo percorso? L’età media da me è 54 anni ma qua si fanno tanti turni di notte».

 

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