Lavoro 9 Maggio 2022 16:52

Donne in sanità: sono più degli uomini, ma guadagnano meno

Aceti (Salutequità): «Nel SSN il gap retributivo tra uomini e donne è del 15%. Solo il 18% delle cattedre sanitarie, il 22% delle direzioni generali delle Asl e il 15% di quelle di strutture complesse è in mano alle donne»

Sette laureati su dieci in materie sanitarie sono donne, cifra che rimane costante anche nel mondo del lavoro, dove il 67,7% dei professionisti del Servizio Sanitario Nazionale appartiene al gentile sesso. Eppure, nonostante rappresentino la maggioranza, le donne ottengono difficilmente cariche dirigenziali e, generalmente, sono pagate meno degli uomini. È questa la fotografia scattata da Salutequità (attraverso una Review di fonti pubbliche, maggio 2022), in occasione del convegno “Empowerment femminile: un catalizzatore della parità di genere”, organizzato da Abbott, in collaborazione con le associazioni Healthcare Businesswomen’s Association (HBA) Italia e Le Contemporanee.

In Sanità le donne dirigenti sono troppo poche

Ad uno sguardo più generale, analizzando gli ambiti professionali tout court, la situazione non migliora: in Italia una donna su due non lavora e se lo fa percepisce una retribuzione inferiore a quella degli uomini. Solo il 28% del gentil sesso occupa posizioni manageriali. Con questi dati, emersi dall’ultimo Report del World Economic, l’Italia si posiziona al 63° posto nel mondo e al 19° tra le 22 nazioni dell’Europa occidentale sulla strada verso la parità di genere. «Il genere femminile è evidentemente molto più presente di quello maschile all’interno del nostro Sistema Sanitario Nazionale. Tuttavia – dice Tonino Aceti, presidente di Salutequità – si tratta di un grande valore a cui non viene dato il giusto riconoscimento: solo il 18% delle cattedre sanitarie, il 22% delle direzioni generali delle Asl e il 15% di quelle delle strutture complesse è in mano alle donne. Il gap retributivo tra maschi e femmine è del 15%».

“Dai voce alla tua voce”: la campagna per la parità di genere

Ed è proprio per mettere un freno alle differenze di genere nel mondo del lavoro che Abbott ha lanciato “Dai voce alla tua voce”: «La campagna di sensibilizzazione e informazione – spiega Stefano Zangara, direttore delle Risorse Umane di Abbott – si compone di diverse iniziative: un sito web, attraverso il quale sarà possibile visualizzare anche una guida redatta da psicologi e sociologi che aiuta ad affrontare le discriminazioni di genere, e uno spot, che punta a mobilitare le energie femminili per aiutare le donne a raggiungere il loro pieno potenziale di vita. Proprio come accade nella nostra azienda in cui il 51% del personale è donna e i vertici sono per metà al femminile, con un’assoluta parità di trattamento economico. “Dai voce alla tua voce” affonda le sue radici nell’iniziativa promossa lo scorso anno, focalizzata sulla sindrome dell’impostore, quel senso di inadeguatezza e di ingiustizia che, secondo le nostre ricerche – aggiunge Zangara -, affligge il 75% delle donne attive nel mondo del lavoro».

La medicina di genere

Ma se nel mondo del lavoro va promossa la parità tra uomini e donne nell’ambito della salute le differenze di genere devono essere evidenziate e rispettate. «La Società Italiana di Cardiologia è molto attenta alla medicina di genere – dice il presidente della Sic, Ciro Indolfi -, poiché i sintomi, il decorso delle malattie ischemiche e del cuore e gli effetti delle cure sono molto differenti tra gli uomini e le donne. Innanzitutto, le signore hanno poca consapevolezza: si preoccupano molto delle neoplasie, e soprattutto del tumore al seno, ma non temono i problemi cardiaci, nonostante siano la prima causa di morte tra il sesso femminile. Poi, nelle donne i sintomi di queste patologie sono molto diversi da quelli che si presentano tra gli uomini: il classico dolore al torace è, talvolta, sostituito da dolori addominali, differenze che possono indurre ad un ritardo nella diagnosi. Terzo punto, non meno importante, riguarda la terapia: tutti gli studi internazionali che consentono l’accesso alle cure, nel 70-80% dei casi, coinvolgono uomini. Infine – conclude il presidente Sic -, l’efficacia delle terapie interventistiche, generalmente utilizzate per patologie cardiache e ischemiche, sono meno efficaci tra le donne».

 

Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato

Articoli correlati
Gb: 1 donna su 2 non va a lavoro per colpa del ciclo mestruale, ma non lo dice. La ginecologa Picconeri: “Ancora troppi pregiudizi”
Nel Regno Unito 4 donne su 5 fanno un gran fatica a lavorare quando hanno il ciclo mestruale e solo poco più della metà ha affermato di non essere stata abbastanza bene per andare al lavoro. Questi sono i risultati di una ricerca britannica, che non stupiscono la ginecologa Giuseppina Picconeri: "La vita fisiologica di una donna in età fertile è spesso fonte di grandi pregiudizi"
Donne “cenerentole” della ricerca in Europa, anche se metà dei laureati e dottorati è “rosa”
Le donne rappresentano circa la metà dei laureati e dei dottorati in Europa, ma abbandonano progressivamente la carriera accademica, arrivando a costituire appena il 33% della forza lavoro nel mondo della ricerca, e solo il 26% dei professori ordinari, direttori di dipartimento o di centri di ricerca. È il quadro tratteggiato in un articolo sulla rivista The Lancet Regional Health
L’esposizione ai PFAS aumenta il rischio cancro nelle donne
Le donne esposte a diverse sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) hanno un rischio maggiore di sviluppare vari tipi di cancro, tra i quali quello alle ovaie, all'utero, alla pelle e al seno. A lanciare l'allarme è un nuovo studio finanziato dal governo degli Stati Uniti, pubblicato sul Journal of Exposure Science and Environmental Epidemiology
Menopausa, non solo vampate: la battaglia è contro lo stigma sociale e le patologie correlate
La neopresidente della IMS (International Menopause Society), prof. Rossella Nappi: «Oggi questa fase coincide sempre più con il momento di maggior realizzazione professionale delle donne: viviamolo al meglio»
Il lavoro nobilita, ma deprime, in particolare le donne. Lo Smart working è la soluzione?
La conferma arriva da due studi: uno inglese realizzato prima della pandemia e l’altro italiano fatto durante e dopo il Covid. In entrambi risulta che la qualità del lavoro e le condizioni incidono sulla salute mentale in particolare nelle donne. Ecco perché dallo smart working non si deve più tornare indietro
GLI ARTICOLI PIU’ LETTI
Advocacy e Associazioni

Mieloma multiplo. Aspettativa di vita in aumento e cure sul territorio, il paradigma di un modello da applicare per la prossimità delle cure

Il mieloma multiplo rappresenta, tra le patologie onco-ematologiche, un caso studio per l’arrivo delle future terapie innovative, dato anche che i centri ospedalieri di riferimento iniziano a no...
Salute

Parkinson, la neurologa Brotini: “Grazie alla ricerca, siamo di fronte a una nuova alba”

“Molte molecole sono in fase di studio e vorrei che tutti i pazienti e i loro caregiver guardassero la malattia di Parkinson come fossero di fronte all’alba e non di fronte ad un tramonto&...
di V.A.
Advocacy e Associazioni

Oncologia, Iannelli (FAVO): “Anche i malati di cancro finiscono in lista di attesa”

Il Segretario Generale Favo: “Da qualche anno le attese per i malati oncologici sono sempre più lunghe. E la colpa non è della pandemia: quelli con cui i pazienti oncologici si sco...