Lavoro e Professioni 21 Giugno 2022 10:57

Ortottisti: ecco che ruolo avranno per la realizzazione del PNRR

Lucia Intruglio, presidente della Commissione d’Albo Nazionale degli Ortottisti: «Puntare sulla telemedicina per raggiungere anche le isole minori, dove la figura dell’ortottista è quasi del tutto assente. Sì ad una formazione quinquennale, ma accompagnata da un pari percorso contrattuale»

Ortottisti: ecco che ruolo avranno per la realizzazione del PNRR

Screening ortottici dall’età neonatale a quella adulta, tele-assistenza, tele-diagnostica e tele-riabilitazione, potenziamento del parco tecnologico, ricerca basata su un approccio multidisciplinare e condiviso soprattutto nell’ambito delle malattie rare, per le comorbilità e le patologie invalidanti. Sono questi alcuni obiettivi proposti dalla Commissione d’albo Nazionale degli Ortottisti per la realizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). «Le tante schede presentate da noi e dalle altre 18 professioni della FNO TSRM PSTRP sono state concretizzate in 27 linee progettuali – spiega Lucia Intruglio, presidente della Commissione d’Albo Nazionale degli Ortottisti -, che per noi spaziano, appunto, dagli screening, all’equipe multidisciplinare e multiprofessionale, fino alle case di comunità e all’aggiornamento dei LEA. Da potenziare anche l’assistenza al domicilio del paziente, attraverso lo sviluppo di sistemi di teleconsulto e telemonitoraggio, integrati con il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) e l’esecuzione di esami diagnostici direttamente a casa dei pazienti cronici e fragili».

L’utilizzo della telemedicina: come e quando

La telemedicina già sperimentata durante la pandemia – e che sarà ulteriormente implementata proprio con la realizzazione del PNRR – sarà un ulteriore valore aggiunto per la professione. «Già prima di elaborare la scheda di progetto, di fatto, si utilizzava per eseguire esami a domicilio trasferendoli telematicamente per la refertazione in struttura, durante la pandemia si sono fatti controlli ortottici e teleriabilitazione. Oggi e domani – continua Lucia Intruglio – si devono certamente implementare anche per facilitare i territori più difficile da raggiungere. Basti considerare che, ad esempio, non siamo presenti in quasi tutte le isole minori».

Verso una formazione più professionalizzante

E per adeguarsi alle nuove tecnologie, e non solo, il professionista sanitario deve poter contare su una formazione adeguata. «Sono necessari: educazione continua in medicina, master e altre lauree che realizzano nuove specializzazioni e ulteriori competenze – sottolinea l’ortottista -. Non è stata casuale, infatti, la nascita del gruppo scienze cognitive della Federazione, in cui afferiranno colleghi con altri titoli. C’è sicuramente un grande dibattito in corso sull’avere una laurea magistrale “professionalizzante”, piuttosto che dell’area della riabilitazione come è stata strutturata fin dal 2001. Personalmente, penso che una riforma del settore verso un percorso formativo quinquennale non può che accompagnarsi ad un pari percorso contrattuale».

L’abusivismo professionale

Garantire una formazione adeguata significa anche assicurare qualità e professionalità ai pazienti che, a loro volta, «devono essere informai ed educati al fine di prevenire contenziosi e illeciti. Devono sapere chi è realmente abilitato alla professione – aggiunge Intruglio – ovvero il medico specialista in oftalmologia e l’ortottista assistente di oftalmologia sono professionisti sanitari, quella dell’ottico, invece, è un’arte ausiliaria». In Italia gli ortottisti sono circa 3.500, distribuiti con grande variabilità: «Ce n’è uno ogni 100 mila abitanti, si va dall’1,5 della Sardegna ai 10 dell’Abruzzo. I numeri inevitabilmente risentono della presenza o meno di corsi di studio nel territorio. Gli ortottisti impiegati oggi nel Sistema Sanitario Nazionale sono quasi gli stessi del 2010, gli altri professionisti lavorano nel privato in studi propri o in collaborazione con altre professioni. Ieri, era una scelta dettata dal blocco delle assunzioni, oggi, invece – conclude la professionista sanitaria – risulta più appetibile dal punto di vista remunerativo».

 

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