Salute e migrazioni 20 Luglio 2017 18:03

I migranti conoscono i loro diritti sanitari? Geraci (Caritas): «Manca consapevolezza. Grandi lacune per governance nazionale e locale»

«L’accesso alle cure da parte dei migranti funziona a macchia di leopardo». Lo ribadisce Salvatore Geraci, responsabile dell’area sanitaria della Caritas: «Garantire percorsi appropriati, anche agli immigrati irregolari, significa risparmiare anche dal punto di vista economico»

Non è possibile stilare una “classifica” delle Regioni più capaci ad accogliere al meglio (anche e soprattutto dal punto di vista sanitario) i migranti, ma l’assistenza di qualità è «diffusa a macchia di leopardo». Secondo Salvatore Geraci, responsabile dell’area sanitaria della Caritas, in Italia «dal 1995 esistono una serie di norme che garantiscono a tutti gli immigrati un’adeguata copertura sanitaria». Per quanto riguarda i minori, in particolare, «l’Italia è andata più avanti con i nuovi LEA». Va anche aggiunto però che «dal punto di vista applicativo ci sono delle grandi lacune, sia in termini di governance nazionale ma soprattutto di gestione a livello locale».

Dottor Geraci, a proposito di formazione, sia per quanto riguarda i medici che gli operatori sanitari in generale, qual è la preparazione nel campo dell’immigrazione? Cosa pensa debba migliorare in questo senso in Italia?

«L’immigrazione è diventata una componente strutturale della nostra società. Ormai quasi il 10% della popolazione italiana è composta da stranieri e quella dell’immigrazione è una componente molto variegata, complessa. Ci sono, ad esempio, i profughi, ma ci sono anche molte persone che sono diventate cittadini italiani: solo l’anno scorso, per dire, più di 170mila immigrati sono diventati cittadini italiani. C’è dunque una grande varietà di tipologie di persone. Su questi temi, dal punto di vista formativo, e in particolare da quello della formazione in ambito sanitario, l’Italia è molto indietro. Alcune società scientifiche, come la Società Italiana di Medicina dell’Immigrazione, hanno anche elaborato da tempo delle indicazioni su come formare e sul perché formare gli operatori sociali e, soprattutto, quelli sanitari, perché nell’ambito del rapporto con persone che arrivano da culture diverse possono venirsi a creare tante problematiche legate alla relazione, e dunque ai pregiudizi reciprochi.

Per quanto riguarda invece il diritto di assistenza: qual è la situazione in Italia nei confronti degli immigrati, ma soprattutto per gli immigrati irregolari?

«L’Italia da tempo ormai si è data delle normative molto inclusive. D’altro canto, non poteva essere diversamente perché quello alla tutela della salute è un diritto costituzionale ed è uno degli ambiti dove non si parla di diritti del cittadino, non dell’italiano, ma diritti dell’individuo. Coerentemente con questo mandato, dal 1995 sono state costituite una serie di norme che garantiscono a tutti gli immigrati un’adeguata copertura sanitaria. Coloro che sono regolarmente presenti, soprattutto quelli presenti con maggiore stabilità, hanno gli stessi diritti e doveri dei cittadini italiani. Per le persone più fragili, quelle che temporaneamente non sono in regola, c’è comunque una possibilità di tutela e di copertura anche in modo, per così dire, ordinario. Per quanto riguarda i minori, in particolare, l’Italia è andata più avanti con i nuovi LEA: c’è la previsione che tutti i minori devono avere la maggiore tutela possibile indipendentemente dallo status giuridico, ovvero indipendentemente se sono figli di regolari o non regolari. Come? Attraverso l’iscrizione al Servizio sanitario e attraverso il pediatra di libera scelta. Quindi, da questo punto di vista, devo dire che abbiamo un quadro normativo estremamente favorevole, razionale e coerente con il mandato costituzionale. Va anche detto però che dal punto di vista applicativo ci sono delle grandi lacune, sia in termini di governance nazionale ma soprattutto di gestione a livello locale. Quindi c’è ancora molto da fare».

Faceva riferimento alla gestione a livello locale: come si comportano le Regioni? E soprattutto esiste una Regione che eccelle rispetto alle altre sull’assistenza nei confronti degli immigrati?

«Domanda difficile, nel senso che definire una Regione d’eccellenza è complesso perché è complessa l’assistenza sanitaria agli immigrati. Non basta dire “tutti gli immigrati si devono iscrivere e io Regione garantisco l’iscrizione al Servizio sanitario a tutti gli immigrati”. Ci sono i temi dell’accessibilità operativa e quello della fruibilità dei servizi, quindi la formazione degli operatori, il lavoro in rete, la competenza culturale, se non addirittura linguistica. Su questo punto ci sono Regioni che sui singoli elementi possono essere considerati d’eccellenza, ma su altre sono critiche. Per questo, dire qual è la Regione migliore diventa difficile. Qualche anno fa è stata fatta una ricerca su alcuni indicatori di politica e si è cercato di capire quali sono le Regioni che arrancano un po’ di più. In genere, quando si fanno queste ricerche compare sempre un’Italia divisa a metà: il nord viene visto come eccellenza, o per lo meno come la zona in cui ci sono situazioni più positive, e il sud come la parte critica. Ecco, in quella ricerca, che ormai è un po’ datata, ne è uscita un’Italia a macchia di leopardo. Quindi se il Veneto e la Lombardia non brillavano su determinati indicatori di assistenza agli immigrati, lo faceva ad esempio la Puglia. Non tutte le regioni hanno la stessa sensibilità nell’applicare la normativa. Garantire percorsi appropriati anche agli immigrati irregolari significa risparmiare anche dal punto di vista economico, quindi se ci si approccia al tema in termini tecnici e non ideologici può scoprire tante cose interessanti».

Abbiamo parlato finora di coloro che assistono. Per quanto riguarda invece gli assistiti, sono consapevoli dei propri diritti?

«Siamo sempre allo stesso problema. Quando parliamo di immigrati parliamo di un universo molto differenziato: un conto è l’immigrato che è presente da 10 o anni, un conto è quello che è appena arrivato. Un conto è chi è arrivato perché ha degli appoggi familiari, un conto è chi ha già un lavoro, un conto ancora è chi sta sbarcando ma non ha intenzione di rimanere in Italia. Su ognuno bisognerebbe fare dei ragionamenti diversi. Il messaggio che va dato agli immigrati è che loro hanno sicuramente dei diritti, così come hanno dei doveri. In questo momento, la situazione più critica è proprio sul versante del sistema sanitario e degli operatori. Bisognerebbe anche informare gli operatori su quelli che sono i diritti e doveri loro e degli immigrati. Allora forse tutta una serie di ostacoli potrebbero essere superati».

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