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Sapere di avere una carenza di vitamina D non è un’informazione che da sola può essere sufficiente per procedere ad una prescrizione corretta. È necessario individuare la vitamina D più adeguata alla condizione specifica di ogni singola donna. Gerli (ginecologo): «L’integrazione di vitamina D può essere eseguita con colecalciferolo (vitamina D3), ergocalciferolo (vitamina D2) o calcifediolo. La forma più utilizzata e studiata è la D3»
Vampate di calore, astenia, irritabilità, disturbi del sonno, aumento di peso, diminuzione del desiderio sessuale, rischio di osteoporosi: sono alcuni dei sintomi che possono caratterizzare il periodo della menopausa. «Ma oggi, grazie ad alcune strategie terapeutiche, non solo farmacologiche, è possibile migliorare la qualità della vita delle donne e far vivere questo periodo in grande serenità». Ad assicurarlo è Sandro Gerli, professore associato di Ostetricia e Ginecologia all’Università degli Studi di Perugia.
Diversi studi scientifici hanno mostrato l’esistenza di un rapporto inversamente proporzionale tra età della donna e la presenza di vitamina D nell’organismo. «Quando l’età avanza, la vitamina D cala – dice Gerli -. Questa sostanza che noi chiamiamo “vitamina” in realtà non lo è: si tratta piuttosto di un ormone che, se carente, è necessario integrare, soprattutto in menopausa, per evitare di incorrere in un impoverimento del calcio, determinando condizioni patologiche come l’osteoporosi».
L’osteoporosi, piuttosto frequente in menopausa a causa della rapida diminuzione di estrogeni, può essere prevenuta anche adottando corretti stili di vita. «Aiutano a prevenire l’osteoporosi un’alimentazione sana ed equilibrata, in cui va evitato il consumo eccessivo di alcolici e caffeina, un’attività fisica che preveda esercizi di resistenza, come camminare o fare le scale, una valutazione preventiva dell’impoverimento della massa ossea grazie a esami strumentali, in particolare la MOC-Dexa, in grado di valutare la densità minerale ossea delle zone esaminate e quindi la salute delle ossa. Questo permette, se presenti uno o più fattori di rischio, di intervenire in modo specifico con integrazioni di vitamina D e calcio», sottolinea il professore.
Sapere di avere una carenza di vitamina D non è un’informazione che da sola può essere sufficiente ad una prescrizione corretta. È necessario individuare la vitamina D più adeguata alla condizione specifica di ogni singola donna. «L’integrazione di vitamina D può essere eseguita con colecalciferolo (vitamina D3), ergocalciferolo (vitamina D2) o calcifediolo [25(OH)D]. La forma più utilizzata e studiata è la vitamina D3, che fornisce effetti apprezzabili nel corso di settimane o mesi. E’ disponibile in fiale iniettabili e bevibili, in gocce ed in flaconi monouso», dice Gerli.
«La vitamina D2, di derivazione vegetale, esiste in fiale somministrabili per via orale o intramuscolo. Il 25OH colecalciferolo (calcidiolo o calcifediolo) è disponibile in gocce per assunzione orale. La pratica comune – suggerisce il ginecologo – è di somministrare una dose terapeutica “di attacco” per colmare il deficit, seguita da una dose di mantenimento. Può essere somministrata anche per via parenterale, ma questo impiego – conclude lo specialista – va prudenzialmente limitato alle persone con accertata o presunta ridotta capacità di assorbimento orale, come donne celiache, sottoposte a chirurgia bariatrica o affette da malattie infiammatorie intestinali».
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