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Malattie e terapie 21 Luglio 2023

Fine vita e cure palliative, il ruolo dell’infermiere

Cosa si intende con cure palliative, come inquadrare un paziente potenzialmente end-stage e in cosa consiste la sedazione palliativa? Leggi l’approfondimento.

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L’etimologia del termine “palliativo” ha la sua radice nel sostantivo latino “pallium”, che significa “mantello”, ovvero protezione. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, le cure palliative sono «un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza per mezzo di un’identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e di altre problematiche di natura fisica, psicologica, sociale e spirituale».

In Italia le cure palliative sono state definite per la prima volta con l’articolo 2 (comma 1, lettera a) della legge 38 del 2010 come «l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici».

Secondo il Ministero della salute, le cure palliative rappresentano dunque quell’insieme di cure, non solo farmacologiche, finalizzate a migliorare il più possibile la qualità della vita sia del malato in fase terminale che della sua famiglia. Per fase terminale intendiamo una condizione irreversibile, in cui la malattia non risponde più alle terapie che hanno come scopo la guarigione del paziente, il quale perde gradualmente autonomia. In una situazione del genere, assume importanza primaria il controllo del dolore, dei problemi psicologici, sociali e spirituali.

Lo scopo delle cure palliative non è dunque quello di accelerare o ritardare la morte del paziente ma di preservare la miglior qualità di vita possibile, fino al termine della stessa.

Criteri clinici generali per inquadrare il malato potenzialmente end-stage

Come spiegato nel corso di formazione FAD “Il fine vita: approccio integrato alle cure palliative” (responsabile scientifico: Andrea Andreucci, Presidente della Società italiana degli infermieri di emergenza territoriale), presente sulla piattaforma Consulcesi Club (9 crediti ECM), esistono diversi indicatori (inclusi empiricamente sulla base dell’esperienza) per capire quando il malato è potenzialmente all’ultimo stadio.

  • ricoveri frequenti per le stesse condizioni;
  • provenienza da lungodegenza, da residenza sanitaria assistita, da domicilio con assistenza;
  • declino nutrizionale (cachessia);
  • malato anziano, con deficit cognitivo e frattura di ossa lunghe;
  • neoplasia metastatica o localizzata in fase avanzata o allo stadio di incurabilità;
  • ossigeno-terapia domiciliare, NIMV;
  • arresto cardiaco extraospedaliero recuperato ma a prognosi severa o infausta;
  • malati candidati a trapianto ma inidonei a riceverlo per la patologia intercorrente;
  • necessità di ricovero in o provenienza da lungodegenza/riabilitazione;
  • malato considerato un potenziale candidato a o già portatore di: nutrizione artificiale via SNG/PEG; tracheotomia; dialisi; LVAD o AICD; trapianto di midollo osseo (malati ad alto rischio).

Parlando di fase terminale avanzata, di seguito i sintomi e segni delle ultime ore/giorni: astenia ingravescente; alterazioni di diuresi e minzione: urine scarse e scure, incontinenza, ritenzione; interruzione dell’assunzione di liquidi; alterazioni della coscienza: sonnolenza, confusione, agitazione, allucinazioni, delirium, scosse, mioclonie.

Cos’è la sedazione palliativa

La sedazione palliativa è la riduzione intenzionale della vigilanza con mezzi farmacologici, fino alla perdita di coscienza, allo scopo di ridurre o abolire la percezione di un sintomo, altrimenti intollerabile per il malato, nonostante siano stati messi in opera i mezzi più adeguati per il controllo del sintomo, che risulta quindi refrattario.

Con la parola “intollerabile” si fa riferimento al punto di vista del malato sul sintomo e dipende dall’entità della sofferenza e dalla volontà del soggetto di sopportare il sintomo stesso. È un criterio centrale della definizione che esprime la tensione delle cure palliative alla personalizzazione delle cure.

Di seguito le condizioni rilevanti per procedere con la sedazione palliativa: sintomo refrattario/eventi acuti terminali; sofferenza intollerabile per il malato; morte imminente; consenso del malato (secondo possibilità); procedura terapeutica delicata ma normale in CP; non richiede giustificazioni etiche diverse da quelle di altre procedure terapeutiche.

La sedazione palliativa è da considerare appropriata quando:

  • viene verificata una condizione clinica di malattia terminale o in fase avanzata con alta probabilità di decesso in breve (ore-giorni);
  • vi è la presenza di sintomi refrattari ai trattamenti che determinano stato di sofferenza incoercibile e importante limitazione della qualità di vita.

Il ruolo dell’infermiere nel fine vita

Secondo l’articolo 24 del Codice deontologico delle professioni infermieristiche, l’infermiere presta assistenza infermieristica fino al termine della vita della persona assistita; riconosce l’importanza del gesto assistenziale, della pianificazione condivisa delle cure, della palliazione, del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale e spirituale. L’infermiere sostiene infine i familiari e le persone di riferimento dell’assistito nell’evoluzione finale della malattia, nel momento della perdita e nella fase di elaborazione del lutto.

Infermiere e cure palliative

In questa delicata fase, l’infermiere concepisce il malato in maniera diversa: non antepone l’efficienza e il tecnicismo, ma instaura un rapporto più antico e più profondo di cura del malato e non della malattia. Utilizza inoltre un approccio e una valutazione multidimensionali che tengano conto degli aspetti sanitari, ma anche degli aspetti socioeconomici e spirituali.

Per quanto riguarda le competenze che l’infermiere deve necessariamente avere, quando si parla di cure palliative, queste sono:

  • competenze etiche: comprensione delle situazioni cliniche difficili dell’assistenza, sensibilità e attenzione, in modo globale, tollerante e mai giudicante;
  • competenze cliniche: valutazione e trattamento dei sintomi della fase avanzata di malattia in ogni patologia evolutiva, nel rispetto della proporzionalità e della rimodulazione delle cure;
  • competenze comunicative e relazionali: finalizzate a un’assistenza rispettosa dell’unicità, della dignità e della volontà del paziente;
  • competenze psicosociali: assistenza attenta ed efficace rivolta alla globalità dei bisogni (espressi e non);
  • competenze di lavoro in équipe: per un approccio integrato alla gestione dei problemi assistenziali.

L’infermiere, inoltre, svolge le seguenti attività: partecipa con il medico al colloquio con i familiari; favorisce un ambiente idoneo; interrompe le terapie non più necessarie; secondo lo schema terapeutico somministra induzione e successivamente inizia infusione palliativa e terapia al bisogno; valuta periodicamente lo stato della sedazione; garantisce dignità alla persona tramite l’igiene di base; effettua colloqui costanti con i parenti e gestisce le loro preoccupazioni; quando la persona decede prepara la salma, dando sempre il tempo ai familiari di salutare il proprio caro; fornisce informazioni sulla camera ardente.

 

 

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