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infanzia 29 Settembre 2023

La nutrizione nei primi 1000 giorni del bambino, consigli e comportamenti da evitare

Come incide l’alimentazione sulla crescita del bambino o dell’adolescente? Come cambia la relazione con il cibo nel corso del tempo? Ha senso proibire? Alcune risposte

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Dal 1990, anno in cui in Italia sono stati pubblicati i primi risultati di studi focalizzati sulla diffusione del cibo spazzatura (conosciuto in inglese come junk food) nell’alimentazione dei bambini e dei ragazzi, la situazione nel nostro Paese non ha mostrato significativi miglioramenti. Nonostante negli ultimi trent’anni sia cresciuta la consapevolezza generale riguardo ai problemi causati dalla predominanza di questi alimenti nel percorso di crescita, in Italia i bambini e i ragazzi continuano a presentare gli stessi problemi critici: consumano un eccesso di energia durante il giorno, poiché si nutrono di alimenti molto calorici. Seguono una dieta sempre più orientata agli standard occidentali (western diet o American diet), caratterizzata da un eccesso di proteine animali e zuccheri semplici. Questi zuccheri non includono solo quello comune o quello presente nei dolci, ma anche quello contenuto nelle bevande zuccherate o addizionate con fruttosio. La loro dieta consiste spesso in alimenti ricchi di grassi, talvolta nascosti e spesso ricchi di sale, come ad esempio i biscotti dolci o salati.

Nel frattempo, questa dieta comporta una carenza nell’assunzione di carboidrati complessi come amido, pasta e cereali integrali (che si riscontra maggiormente nei bambini rispetto agli adolescenti), frutta e verdura, legumi, prodotti ittici, latte e prodotti lattiero-caseari.

Come incide l’alimentazione scorretta sulla crescita?

Come spiegato nell’ebook “Nutrire il futuro: la nutrizione nei primi 1000 giorni del bambino” (responsabile scientifica, la dottoressa Marika Picardi, biologa nutrizionista), presente sulla piattaforma di Consulcesi Club (3 crediti ECM), l’alimentazione scorretta ha un impatto sempre più negativo sulla composizione corporea e sul processo di crescita dell’individuo, e ne peggiora gradualmente lo stato di salute. Questo impatto negativo si traduce principalmente in un aumento di peso senza un aumento corrispondente dell’altezza. Nonostante questa consapevolezza sia generalmente accettata, teoricamente le famiglie dovrebbero automaticamente limitare l’accesso dei bambini e dei ragazzi a merendine, bevande zuccherate o dolcificate, patatine fritte, biscotti, caramelle, cioccolatini e simili. Tuttavia, nella realtà, questo meccanismo non si attiva in modo così semplice.

Fino all’età di quattro o cinque anni, le famiglie spesso consultano regolarmente il pediatra per discutere problemi reali o potenziali legati all’alimentazione dei propri figli. Tuttavia, una volta superata questa fascia d’età, il ruolo del pediatra tende a svanire gradualmente dalle dinamiche familiari. Molte volte, i genitori preferiscono cercare consigli da altre figure che seguono più da vicino il percorso di crescita dei figli, come allenatori di calcio o insegnanti di danza. In casi estremi, alcuni genitori evitano persino di consultare il proprio pediatra di fiducia, optando invece per la ricerca autonoma di consigli su una dieta sana su internet o dando credito alle pubblicità di prodotti alimentari in televisione.

Anche per quanto riguarda le preoccupazioni più comuni che i genitori condividono con i pediatri, sembra che spesso i livelli di allerta non siano adeguati rispetto ai veri problemi alimentari che colpiscono i bambini e i ragazzi. Ad esempio, quando i bambini sono chiaramente in sovrappeso, molte famiglie affermano che mangiano poco, mentre la preoccupazione per la necessità di diversificare l’alimentazione è in generale scarsa. Questa tendenza a non diversificare i pasti riflette spesso le abitudini alimentari delle famiglie stesse. Anche il fatto che un bambino salti i pasti non solleva spesso preoccupazioni significative. Di fronte a situazioni del genere, i genitori appaiono spesso rassegnati, considerando questo comportamento come normale. Anche la sostituzione di pasti con altri alimenti, come ad esempio le patatine al posto della pasta, non suscita molta preoccupazione, poiché è considerata una pratica comune da parte dei bambini.

La relazione con il cibo cambia con l’età

Durante il processo di crescita dell’individuo, incluso il periodo successivo all’adolescenza, ci sono tre momenti fisiologici in cui prevale la neofobia alimentare: nel bambino tra i due e i tre anni; all’inizio dell’adolescenza; nell’anziano. Sebbene possano sembrare diversi, questi tre momenti condividono un atteggiamento psicologico simile, ovvero l’assertività del sé, la capacità di prendere decisioni e, di conseguenza, di definirsi come individuo. La neofobia si sviluppa nei bambini perché desiderano imparare a mangiare da soli; si manifesta negli adolescenti poiché vedono nelle scelte alimentari autonome un modo per emanciparsi dall’autorità dei genitori; infine, si riscontra negli anziani poiché, sentendosi sempre più privati della capacità di prendere decisioni autonome con l’avanzare dell’età, cercano di mantenerla almeno nell’ambito alimentare. Nonostante sia un fenomeno naturale, dovrebbe rimanere temporaneo.

Il problema che si verifica spesso in molte famiglie è che non tengono conto di queste dinamiche, concentrando l’attenzione solo sul fatto che il figlio, sia esso bambino o adolescente, mangi sempre qualcosa. Nel farlo, finiscono per forzare i ritmi e le scelte che caratterizzano questi momenti della vita. Dato che si tratta di un processo fisiologico, fino a un certo punto è corretto che i genitori rispettino la neofobia alimentare dei figli, in modo che possa seguire il suo corso naturale. La maggior parte dei bambini supera autonomamente questa fase, grazie all’esempio positivo dei genitori o alle buone influenze delle compagnie con cui interagiscono al di fuori di casa. Tuttavia, c’è una piccola percentuale di bambini che tende a rimanere bloccata in questa fase per un periodo più lungo.

Infine, un numero ancora più limitato di individui continua nel tempo a restringere sempre di più le proprie scelte alimentari, correndo il rischio di limitarsi a un’alimentazione estremamente selettiva. Nella gestione di questi momenti, il primo e più grande problema che i genitori devono affrontare è che non possono prevedere in anticipo quale livello di neofobia alimentare svilupperà il figlio. Pertanto, in queste situazioni, l’unico modo per non essere sopraffatti è seguire una regola d’oro tramandata dai nostri antenati: “Si mangia quello che c’è, se si vuole mangiare“. Questa regola ha tre derivati: non si compensa con porzioni più grandi di ciò che piace, non si compensa con cibi non salutari e junk food e la regola vale per tutti, compresi i genitori.

Tempi e luoghi dell’alimentazione

Come già evidenziato, l’alimentazione scorretta o disordinata nei bambini spesso è influenzata dai comportamenti scorretti a cui sono esposti e ai quali si abituano all’interno del nucleo familiare. Alcuni dei comportamenti più comuni includono:

  • omettere la prima colazione, soprattutto con l’età che avanza;
  • consumare un pranzo meno nutriente, quando invece dovrebbe essere il pasto principale della giornata;
  • considerare la cena come il pasto più abbondante;
  • suddividere il pasto completo in frazioni (ad esempio, consumare solo il primo a pranzo e solo il secondo a cena, o viceversa);
  • mangiare piccoli spuntini durante il giorno, spesso seguendo le indicazioni di dietisti e nutrizionisti che promuovono diete dissociate;
  • ridurre i pasti consumati in famiglia a causa degli orari diversi (ad esempio, nessuno dei membri della famiglia pranza a casa e spesso non si riesce nemmeno a cenare insieme a causa del ritorno tardivo al lavoro di uno dei genitori);
  • aumentare il numero di pasti consumati fuori casa con amici e compagni di scuola (ad esempio, alla mensa scolastica, nei fast food, nei bar o pizzerie, dai distributori automatici nelle scuole).

In questi contesti familiari e sociali, è importante prestare attenzione all’alimentazione dei bambini e cercare di stabilire abitudini più sane quando possibile.

Quanto ha senso proibire?

In un mondo ideale, ogni genitore desidererebbe vedere il proprio figlio entusiasta di seguire un’alimentazione in linea con la piramide della dieta mediterranea. Ma la realtà spesso è diversa. Nella maggior parte dei casi, i bambini si mostrano contenti a tavola non quando vengono presentate loro verdure o frutta, ma quando trovano dolci, gelati o cibo spazzatura. La storia ci insegna che il proibizionismo radicale su specifici prodotti raramente ha condotto ai risultati sperati. È invece più efficace utilizzare approcci meno complessi di quanto si possa pensare.

Ad esempio, per promuovere una dieta equilibrata nei bambini e nei ragazzi, è fondamentale sfruttare il concetto del “role modeling” esercitato da figure di riferimento, come i genitori all’interno del nucleo familiare o i leader tra i compagni di scuola. Se il compagno o la compagna di scuola dimostrano un comportamento positivo mangiando verdura e frutta, gli altri tenderanno a fare lo stesso.

Un contesto positivo a tavola significa che i pasti non devono essere imposti, ma presentati in modo invitante, sempre con un sorriso e senza ricorrere al sistema della punizione-ricompensa per ottenere la cooperazione del bambino (ad esempio, evitando frasi come “Se non mangi il minestrone, non giochi alla Playstation” o “Se mangi il minestrone, poi puoi mangiare il cioccolato”).

È cruciale che ci siano cibi salutari disponibili in casa e a tavola, mentre si dovrebbe evitare la presenza di cibo spazzatura (come sacchetti di patatine nella dispensa o bevande gassate nel frigorifero, ad esempio).

Con l’uso di queste tecniche, è possibile incoraggiare uno stile alimentare più sano nei bambini senza ricorrere a divieti estremi o coercizioni.

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