Sanità 13 Febbraio 2019 18:08

Fondo sanitario, Regioni approvano riparto 2019. Antonio Saitta: «SSN sottofinanziato, in nuovo Patto della Salute risorse certe»

Alla Conferenza delle Regioni suddiviso il Fondo di 111,2 miliardi. Il Presidente Stefano Bonaccini: «Così diamo un contributo importante alle successive azioni del ministero e consentiamo alle Regioni di avviare una programmazione in tempi certi». Sul tema dell’autonomia differenziata posizioni diverse dei governatori. L’Assessore alla Sanità del Piemonte: Su alcune materie, come la formazione, non possiamo stare con le mani in mano. Servino regole certe»

È stata una riunione importante quella di oggi della Conferenza delle Regioni. E non solo perché è stato ripartito il Fondo sanitario nazionale, 111,2 miliardi tra le Regioni. Ma anche perché si è parlato del nuovo Patto della Salute, che dovrà essere firmato entro il 31 marzo. E perché sullo sfondo aleggia la questione dell’autonomia differenziata chiesta da Emilia Romagna, Veneto e Lombardia, un tema che sta dividendo la maggioranza e che vede posizioni molto differenti anche tra i governatori delle regioni.

«Per il terzo anno consecutivo – ha spiegato il presidente della Conferenza delle regioni Stefano Bonaccini – formalizziamo con un accordo unanime la nostra proposta al Ministero della Salute all’inizio dell’anno. Questo significa che diamo un contributo importante alle successive azioni del Ministero e consentiamo alle Regioni di avviare una programmazione in tempi certi. È un fatto molto positivo visto che riguarda un settore fondamentale, come è quello sanitario, dei servizi pubblici».

Nel fabbisogno standard sono state considerate tutte le risorse comprese quelle relative alla quota premiale, pari allo 0,25% del Fondo, circa 286 milioni di euro, per cui nel riparto si è tenuto conto di meccanismi premiali e di riequilibrio che determinano il fabbisogno standard. Ora le Regioni si aspettano che il Ministero proceda celermente perché si arrivi nel più breve tempo possibile al riparto.

«Sul riparto – ha spiegato Bonaccini – sono molto, molto soddisfatto: garantiamo alle Regioni di sapere con certezza adesso quali sono i fondi che possono impiegare nella gestione della sanità nel loro territorio».

La Conferenza di oggi ha visto la presenza anche di numerosi governatori, a partire dal Veneto Luca Zaia, poi Catiuscia Marini dell’Umbria, Michele Emiliano della Puglia e Giovanni Toti della Liguria. Segno che la riunione era particolarmente importante.

Il riparto vede fare la parte del leone alla Regione Lombardia con oltre 18 miliardi (ieri l’assessore alla Salute lombardo Giulio Gallera esultava per aver ottenuto 250 milioni di euro in più), poi il Lazio con quasi 11 miliardi e a seguire Sicilia, Veneto ed Emilia Romagna.

Durante la riunione si è parlato anche del Patto della Salute: ieri un documento della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni, guidata dall’assessore del Piemonte Antonio Saitta, aveva posto delle ‘condizioni’ al governo per il rinnovo: no a cambi unilaterali del Patto, risorse certe e non condizionabili dall’andamento dell’economia, revisione dei meccanismi di controllo analitico dei processi e dei costi di singoli fattori produttivi e il passaggio alla individuazione di pochi, sintetici e significativi, indicatori di risultato. E ancora, rivedere piani di rientro e commissariamenti (e niente nomine di nuovi commissari prima del Patto).

«La Corte dei Conti dice che c’è un problema di sottofinanziamento del Sistema sanitario nazionale da cui possono derivare problemi di funzionamento dei servizi. E quindi poniamo il problema delle risorse necessarie», sottolinea a Sanità Informazione Antonio Saitta, Coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. «Abbiamo lavorato con grande intensità – continua Saitta – per un documento che io definirei il documento per le premesse di carattere politico e istituzionale per lavorare sul Patto della salute. Non è un lavoro tecnico che si occupa di piccole cose: riguarda il Sistema sanitario, gli obiettivi, il tema del finanziamento, il tema della governance, il tema del rapporto con le regioni. Chiediamo anche il riconoscimento del lavoro che abbiamo fatto come regioni in questi anni, non si può avere sempre un atteggiamento critico verso le regioni».

Saitta poi critica le frequenti ‘invasioni di campo’ del governo sulle competenze delle regioni in tema di sanità: «Il Patto richiede ristabilire qual è il ruolo delle regioni e qual è il ruolo dello Stato. La Carta costituzionale è chiara: le regioni gestiscono, organizzano, ecc. e noi vogliamo evitare invasioni. Chiediamo anche di rivedere i meccanismi per i quali le regioni in piano di rientro devono essere seguite: non più un insieme di tanti dati, elementi. Ma pochi e sintetici. Vogliamo evitare il dirigismo, non ha molto senso. Come regioni abbiamo dimostrato di saper fare, anche se in misura diversa, siamo disponibili a fare il patto per la salute anche in fretta ma non c’è una gerarchia: lo Stato che comanda e gli altri che eseguono. C’è bisogno di una sana e utile collaborazione perché altrimenti non si va da nessuna parte».

Sul tema dell’autonomia differenziata Saitta sottolinea invece che le opinioni sul tema dono diverse tra le varie regioni, ma sembra comprendere le ragioni che hanno portato alcuni governatori a chiedere più autonomia: «Le Regioni che hanno avviato questo percorso partono dalla constatazione che in questi anni alcune delle questioni che sono state poste al governo nazionale non sono state affrontate – sottolinea l’assessore alla Sanità del Piemonte – Da queste tre regioni e da tutte le altre che si stanno aggiungendo c’è la richiesta di occuparsi ad esempio della formazione. È il segno di una difficoltà di rapporti, cioè qual è il ruolo dello Stato e qual è il ruolo delle Regioni. Noi, ad esempio, non abbiamo i medici specialisti, non è che possiamo stare con le mani in mano: ci facciamo la nostra formazione. Ma il tutto deriva dal fatto che bisogna ricostruire un patto generale con delle regole perché non è che noi per le competenze nazionali possiamo aspettare che un giorno si decida sulla formazione e gli effetti li vediamo tra cinque anni. Avendo la competenza dell’organizzazione e della gestione se mancano i medici ne rispondiamo noi direttamente, ma non è un problema politico, ma dei cittadini».

 

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