Salute 29 Agosto 2019 12:25

Medicine complementari, Bucci (Temple University): «Diverso metodo statistico negherebbe evidenze scientifiche»

Secondo il professore di biologia dei sistemi complessi dell’università di Philadelphia, il teorema di Bayes sarebbe più appropriato per condurre studi clinici sulle medicine complementari. Ecco di cosa si tratta

«Tutto ciò che è alternativo alla scienza ha, per definizione, una base debole. E il motivo è semplice: per raggiungere una base sufficientemente solida per contrastare l’attuale conoscenza scientifica probabilmente non basterebbero altri mille anni di esperimenti». È questo il duro giudizio del professor Enrico Bucci, docente di biologia dei sistemi complessi presso la Temple University di Philadelphia, sulla medicina alternativa. Si tratta di quell’insieme di pratiche che non ricadono all’interno della medicina scientifica convenzionale o la cui efficacia, appunto, non è stata dimostrata, come la cosiddetta medicina tradizionale.

A queste si affiancano le medicine complementari, «pratiche per le quali può esistere un livello di evidenza più o meno solido – spiega Bucci – ma ad oggi per la stragrande maggioranza è molto debole». Rientrano in questo gruppo la naturopatia, l’omeopatia, la chiropratica e la medicina tradizionale cinese.

Ma a detta del professor Bucci, le evidenze ottenute dalle medicine complementari verrebbero meno se, al posto della statistica frequentista comunemente usata nell’analisi dei dati in ambito medico, si applicasse il teorema di Bayes.

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Secondo Bucci, la statistica frequentista non fornisce informazioni dirette sulla probabilità che l’ipotesi di ricerca testata sia corretta. L’errore risultate si aggrava, quindi, quando le ipotesi sotto esame hanno basi scientifiche non solide, quali quelle delle medicine complementari. La statistica bayesiana, invece, che considera la probabilità a priori dell’ipotesi testata, sarebbe più appropriata e cambierebbe i risultati degli studi clinici sulle medicine complementari.

«Il teorema di Bayes – spiega il professore della Temple University – è una traduzione in termini statistici della necessità di valutare non solo i risultati del singolo esperimento a favore o contro una certa ipotesi scientifica, ma anche tutte le conoscenze rilevanti precedentemente acquisite per quel determinato esperimento o risultato. Tutto quello che so – continua Bucci – può essere tradotto in un parametro che si chiama probabilità che la mia ipotesi sia vera a priori. Se la probabilità che la mia ipotesi sia vera a priori è molto piccola, com’è il caso delle pratiche alternative, posso dimostrare con dei semplici calcoli che non è possibile neanche pianificare un esperimento di dimensioni sufficienti a provare vera quella determinata teoria», conclude.

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