Salute 17 Maggio 2024 13:00

Da Enea un cerotto biodegradabile che cura le ferite

Un cerotto biodegradabile che cura le lesioni della pelle grazie a un unguento brevettato incorporato nelle sue nano fibre. Lo hanno messo a punto Enea e Nanofaber con l’obiettivo di ridurre la frequenza delle medicazioni
Da Enea un cerotto biodegradabile che cura le ferite

Un cerotto biodegradabile che cura le lesioni della pelle grazie a un unguento brevettato incorporato nelle sue nano fibre. Lo hanno messo a punto Enea e Nanofaber, spin off della stessa Enea, con l’obiettivo di ridurre la frequenza delle medicazioni e, di conseguenza, il dolore e il rischio di infezioni. I contenuti di questa innovazione sono stati pubblicati sulla rivista Pharmaceutics. “Per realizzare questo particolare cerotto multistrato, biocompatibile e biodegradabile è stata impiegata una tecnica innovativa, chiamata elettro filatura o electrospinning”, spiega Antonio Rinaldi, ricercatore ENEA e co-fondatore di Nanofaber.

Il cerotto è stato messo a punto con una tecnica innovativa

“Si tratta di un processo produttivo – spiega Rinaldi – utilizzato sia in ambito industriale che scientifico e serve a produrre membrane nanostrutturate che consentono di incapsulare il medicamento e di rilasciarlo in modo graduale e controllato, una volta a contatto con la ferita”. Il prototipo di cerotto è formato da due strati esterni composti da un materiale sintetico biocompatibile usato in ambito medico. Nello strato interno, invece, è presente un fitounguento per la rigenerazione della pelle lesionata, brevettato da Enea, e si basa su una formulazione di origine naturale costituita da olio di Neem ed estratto oleoso di fiori di iperico.

Il cerotto consente il rilascio graduale della medicazione

“Per poter sfruttare al meglio il meccanismo rigenerativo dell’unguento o semplicemente aumentarne il campo di applicazioni abbiamo studiato strategie innovative per controllarne il rilascio graduale e ottimale rispetto alle fasi di rigenerazione del tessuto cutaneo”, spiega Anna Negroni, ricercatrice del Laboratorio Enea di Tecnologie biomediche. “Grazie alla collaborazione con Nanofaber – aggiunge – è nato un nuovo concept di cerotto biomedico che conserva le proprietà terapeutiche dell’unguento e ne garantisce una migliore biodisponibilità attraverso il rilascio graduale, molto utile per una più efficace e corretta gestione della guarigione delle lesioni cutanee. E a breve dovremmo passare a una sperimentazione preclinica per valutarne l’efficacia anche in vivo”.

I test in vitro dimostrano l’efficacia nella guarigione della ferita

“Attraverso questo cerotto siamo riusciti a coniugare, in modo soddisfacente, le proprietà medicali del fitounguento con sistemi nano e micro-strutturati ottenuti per manifattura additiva, che hanno permesso di amplificarne le applicazioni e il potere terapeutico”, rimarca Rinaldi. Per verificare l’efficienza di incapsulazione e di rilascio del principio attivo da parte del cerotto, i ricercatori hanno effettuato accurate indagine spettroscopiche e cromatografiche. La validazione dell’efficacia terapeutica, invece, è stata condotta mediante test in vitro di biocompatibilità, citotossicità e di migrazione cellulare. I risultati dimostrano che il fitounguento elettrofilato non produce effetti negativi sulla vitalità cellulare ma è in grado di migliorare l’efficacia di guarigione della ferita, come dimostrato dallo scratch test che ha simulato la presenza di una ferita su un monostrato di cellule indotta mediante l’esecuzione di un graffio.

Il medicamento incapsulato ripara la ferita più rapidamente

“Abbiamo riscontrato che le cellule cresciute sulla membrana contenente il medicamento incapsulato riparano la ferita più velocemente rispetto alla membrana vuota”, sottolinea Negroni. “Inoltre, la messa a punto dello scratch test condotto nello studio è esso stesso un risultato della ricerca perché ha permesso di ottenere un modello di guarigione della ferita in vitro, che consente uno studio time-lapse e di potenziale interesse generale per la bioingegneria e biotecnologia”, conclude Negroni.

 

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