Negli ultimi anni, la questione dell’assunzione di proteine ha guadagnato un’attenzione crescente, in parte grazie anche all’aumento della disponibilità di prodotti alimentari con diciture che ne indicano il contenuto. È per questo che la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), in occasione del 45esimo congresso nazionale, che si è aperto oggi a Salerno, dedicherà una tavola rotonda al tema “Proteine: non è solo questione di quantità”. Secondo il Regolamento (CE) n.1924/2006, i termini “fonte di proteine” e “ad alto contenuto di proteine” possono essere utilizzati solo se almeno il 12% o il 20% rispettivamente del valore energetico del prodotto viene fornito dalle proteine. E gli italiani sembrano sempre più avvezzi a queste diciture, visto che statistiche recenti indicano che l’interesse dei consumatori per questi alimenti è in aumento.
Nel 2024, il 4% degli oltre 3.300 prodotti analizzati nell’Osservatorio Immagino (studio semestrale dell’organizzazione no profit GS1 Italy dedicato ai consumi degli italiani) presenta diciture relative alle proteine, generando un fatturato di 1,9 miliardi di euro, in crescita del 4,5% rispetto al 2023. Nonostante si tratti di numeri importanti, il trend di crescita del giro d’affari di questi prodotti sembra comunque rallentare dato che solo nel 2023 si registrava una crescita di quasi il 20% su scala nazionale rispetto al 2022. Un’analisi condotta dalla Sezione Nutrizione Umana dell’Università degli Studi di Milano, coordinata da Daniela Martini, su un campione di oltre 400 prodotti, ha messo in evidenza la varietà di prodotti in commercio con queste diciture, con una prevalenza di (o soprattutto) barrette e yogurt, ma che ormai appartengono a tantissime altre categorie merceologiche, quali latte, bevande vegetali fino ai sostituti del pane e ai pancake, passando per gelati, creme spalmabili, salumi e formaggi.
“Non è facile comprendere il crescente interesse per alimenti ricchi di proteine, non solo da parte di atleti e persone che seguono regimi alimentari speciali, ma anche da parte di individui che desiderano migliorare la propria forma fisica e perdere peso”, afferma Martini, anche membro del comitato scientifico della SINU. “Questa tendenza è spesso alimentata dalla convinzione errata che ridurre l’apporto di carboidrati e lipidi sia una strategia efficace per dimagrire. È fondamentale monitorare le vendite – continua – e il consumo di questi prodotti, oltre a educare i consumatori sull’importanza di leggere attentamente le etichette. Ciò è essenziale per fare scelte consapevoli e salutari, evitando di eccedere nell’apporto proteico, già sufficiente nella dieta media italiana, se confrontato ai Livelli di assunzione di riferimento per le proteine indicati nella nuova edizione dei LARN della SINU”.
È importante, inoltre, riflettere sulla qualità proteica degli alimenti consumati, prendendo in considerazione la composizione in aminoacidi essenziali. Le evidenze scientifiche, riportate nell’ultima versione dei LARN, hanno mostrato che l’assunzione eccessiva di proteine animali, ad esempio quelle contenute nelle carni rosse e lavorate, è associata a un aumento della mortalità per tutte le cause. Al contrario, un maggiore apporto di proteine vegetali sembra essere legato a una diminuzione della mortalità. Dato che all’aumentare del consumo di un alimento o di una fonte di proteine corrisponde una diminuzione di altre fonti, in epidemiologia nutrizionale sono stati sviluppati diversi modelli statistici per analizzare gli effetti della sostituzione di proteine animali con quelle vegetali.
Recenti studi, che hanno utilizzato questi modelli, hanno mostrato che tale sostituzione è associata ad una riduzione significativa della mortalità per tutte le cause e per malattie cardiovascolari. Tuttavia, è fondamentale ricordare che si tratta di modelli di sostituzione teorici che approssimano la realtà, non sufficienti per definire una relazione causale. I benefici osservati potrebbero, infatti, derivare da altri componenti presenti nei cibi vegetali, come fibre, antiossidanti e composti bioattivi. Allo stesso modo, il rischio legato al consumo di proteine animali potrebbe essere attribuito ad altri elementi, come i grassi saturi o l’elevato contenuto di sale tipico delle carni trasformate, o ancora ai diversi additivi per migliorarne la conservazione, il sapore, l’aspetto e la consistenza.
“L’interesse per le proteine vegetali è in crescita ma è importante che i consumatori ricevano informazioni corrette e complete per compiere scelte consapevoli”, afferma Sabina Sieri, direttore ad interim della Struttura Complessa di Epidemiologia e Prevenzione della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e socio SINU. “Ad esempio, un indicatore della qualità proteica potrebbe essere utile; anche il livello di processamento – prosegue – è un importante dato, visto che in alcuni alimenti può ridurre la biodisponibilità delle proteine, mentre in altri, come i legumi, può aumentarla. Il vecchio consiglio di abbinare cereali e legumi è sempre valido per poter ottenere un profilo amminoacidico più completo, in particolare per garantire un adeguato apporto di lisina e metionina, aumentando così il valore biologico e nutrizionale del pasto”.
“Va, inoltre, ricordato che in Italia – conclude Sieri – non esiste un’emergenza legata a una carenza proteica e che la ridotta mortalità in coloro che hanno un alto consumo di proteine vegetali sembra dovuto più all’effetto di sostituzione delle fonti animali (carni rosse o conservate) o anche alle proprietà dei vegetali stessi; quindi, non dovrebbe derivarne un’indicazione ad aumentare le proteine totali della dieta. Piccole modifiche nella dieta, come l’incremento del consumo di legumi, noci e cereali integrali, possono avere effetti positivi significativi”.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato