Salute 26 Gennaio 2021 17:23

Perché un anno fa nessuno ha ascoltato l’Oms?

Era il 30 gennaio 2020 quando l'Oms dichiarò l'emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale. Eppure nessun Paese ha implementato misure finché non è stato "troppo tardi"
Perché un anno fa nessuno ha ascoltato l’Oms?

A un anno dall’inizio della pandemia di Sars-CoV-2, gli esperti cominciano a svolgere le proprie valutazioni su quanto è stato fatto e quanto si poteva fare per contrastare il virus. Un’analisi che ha coinvolto per prima l’Organizzazione mondiale della Sanità. Grazie a due comitati d’inchiesta, uno interno e uno indipendente, si è cercato di capire perché di fronte agli avvertimenti dell’Oms il resto del mondo sia rimasto indifferente.

Era il 30 gennaio 2020 quando l’Oms dichiarò la PHEIC (public health emergency of international concern), ovvero emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale. Il nuovo virus trovato in Cina aveva ufficialmente la possibilità di danneggiare tutto il mondo; eppure, a parte alcuni paesi dell’Asia, l’attenzione globale ha rifiutato di concentrarsi sulla minaccia segnalata. La domanda è: perché? Cosa servirebbe per preparare tutti all’azione?

L’annuncio di Ghebreyesus “troppo pacato”

Un anno fa Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell’Oms, avvertì: «È ancora possibile interrompere la diffusione del virus, a condizione che i paesi mettano in atto misure forti per rilevare precocemente la malattia, isolare e trattare i casi, tracciare contatti e promuovere misure di allontanamento sociale».

I toni “rassicuranti” utilizzati dal dg e quell’acronimo poco minaccioso, entrambi volti a non spaventare troppo il mondo, hanno poi mostrato un effetto contrario. Solo quando finalmente l’Oms ha parlato di pandemia e di diffusione in più continenti, i governatori e presidenti hanno deciso di prestare ascolto. Ma cambiare il termine “PHEIC”, secondo gli esperti, servirebbe a poco.

Più utile invece potrebbe essere conoscere in maniera più trasparente le valutazioni che portano a questa dichiarazione. Il 22 gennaio dello scorso anno, Ghebreyesus convocò virologi, ricercatori e governatori a porte chiuse. Qui si discusse della necessità di lanciare un allarme, che venne però ritardato di un’ulteriore settimana e poi dichiarato senza sufficienti spiegazioni.

Tutti i paesi sembrano concordare sul fatto che per migliorare la capacità del mondo di rispondere alle pandemie, l’Oms dovrebbe essere trasformata e rafforzata. Lo scienziato statunitense Anthony Fauci ha detto questa settimana all’Oms che gli USA annulleranno il ritiro dall’organizzazione, avviato dall’ex presidente Donald Trump, e «lavoreranno in modo costruttivo con i partner per rafforzare e, soprattutto, riformare l’Oms».

Tra i cambiamenti ipotizzati quello di autorizzare l’Oms ad agire su dati non ufficiali sui social media e altrove, in modo che l’organizzazione possa rispondere rapidamente alle malattie emergenti senza attendere i governi che potrebbero nascondere le informazioni.

In aggiunta è stato anche proposto un nuovo trattato sulle pandemie, a cui tutti i paesi dovrebbero aderire, sebbene pare che l’Oms non abbia la capacità di penalizzare i paesi che non si conformano. Non bisogna dimenticare che l’Organizzazione dipende per intero dalle donazioni dei membri, che se penalizzati potrebbero scegliere di ridurle. Come esempio c’è il grande esercizio di diplomazia esercitato dall’Organizzazione per riuscire a persuadere la Cina a consentire l’invio di un team internazionale di scienziati a Wuhan.

La proposta di Ghebreyesus: emergenza a colori, come in Italia

In ultimo, Ghebreyesus ha proposto un’ulteriore aggiunta, i gradi di PHEIC codificati per colore. Ricalcando, sembrerebbe, il sistema utilizzato per le regioni italiane. Così, si spera che se caratterizzati da un colore “incoraggiante”, gli stati condividano i dati e agiscano più in fretta per evitare un peggioramento dello status.

Il metodo proposto dalla Commissione Ue per controllare meglio le varianti del virus sembra accostarsi proprio a questa proposta. Mappare con un codice colore le aree più a rischio, così da attivare immediatamente misure più rigorose e da controllare gli spostamenti dei viaggiatori provenienti da quelle stesse zone. Oltre al verde, arancione, rosso e grigio già stabiliti dall’Ecdc, ci sarebbe così un nuovo “rosso scuro” per le aree più in pericolo. Quest’ultimo indicherebbe le aree in cui il tasso di notifica di 14 giorni è superiore a 500 positivi ogni 100.000 persone.

 

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