Salute 22 Maggio 2019 17:23

Prevenzione cardiaca, Colivicchi (cardiologo): «Dopo ricovero pazienti non seguono terapie, servono percorsi più sicuri ospedale-territorio»

Il direttore dell’U.O.C di Cardiologia del San Filippo Neri ricorda l'importanza di adottare stili di vita corretti, evitare comportamenti a rischio e aderire alle terapie. Il professor Fedele (Umberto I) svela: «Una percentuale rilevante di pazienti non smette di fumare neanche dopo l’infarto»
di Viviana Franzellitti e Giovanni Cedrone
Prevenzione cardiaca, Colivicchi (cardiologo): «Dopo ricovero pazienti non seguono terapie, servono percorsi più sicuri ospedale-territorio»

Gli interventi di prevenzione delle malattie cardiovascolari sono rivolti a tutti ma, ancor di più, a chi è già stato colpito da eventi cardiovascolari. Questi pazienti, più degli altri, devono aderire correttamente alle terapie e seguire le raccomandazioni dei cardiologi: avere un’alimentazione sana, svolgere attività fisica, controllare il peso, smettere di fumare.

«Ogni anno 150mila persone in Italia hanno un infarto; questo significa che nel corso della loro vita dovranno curarsi per evitare che questo evento si ripeta e morire per questa patologia – ci spiega Furio Colivicchi, Direttore dell’U.O.C di Cardiologia dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma – . Oggi, abbiamo a disposizione armi molto potenti ed efficaci per risolvere alcuni problemi, garantire la sopravvivenza e una migliore qualità della vita ai nostri pazienti: la terapia farmacologica, la terapia di rivascolarizzazione mediante angioplastica, i bypass aorto-coronarici. Tuttavia – considera con rammarico – ci sono problemi di aderenza alle terapie; alcuni pazienti dopo un ricovero interrompono i trattamenti, non svolgono attività fisica, riprendono a fumare».

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È necessario uno sforzo congiunto di medici e istituzioni per sensibilizzare e informare i cittadini: «Chiediamo più strumenti normativi e attenzione a livello nazionale e regionale per garantire percorsi più sicuri in uscita dagli ospedali verso il territorio e di ritorno dal territorio verso l’ospedale» sostiene il cardiologo.

Tra gli strumenti che si possono utilizzare per la prevenzione cardiovascolare c’è la telemedicina: «La telemedicina deve essere contestualizzata all’interno di un percorso di cure articolato e che prevede la partecipazione di molte figure: il medico ospedaliero all’inizio del percorso, il cardiologo del territorio quando poi il paziente esce dall’ospedale, il medico di medicina generale che deve garantire la continuità delle cure e gli infermieri che sono molto bravi e molto capaci nell’attività di counseling. Il tutto, accompagnato da controlli a distanza che permettono di sapere quando la sua condizione peggiora e deve tornare in ospedale – sottolinea Colivicchi -. La telemedicina è il futuro da molti punti di vista, ma va garantita all’interno di un percorso che veda degli attori molti formati e forti dal punto di vista delle competenze professionali».

La prevenzione secondaria è d’obbligo per chi è già stato colpito da eventi cardiovascolari «ma anche per quelle categorie di persone considerate al di fuori del rischio: giovani e donne», commenta il professor Francesco Fedele, Direttore Uoc di Cardiologia Policlinico Umberto I che esprime la sua opinione anche su il tabagismo, uno dei maggiori fattori di rischio per le malattie cardiovascolari, e apre alle sigarette elettroniche. «La mia idea è che queste alternative al fumo di tabacco non sono la strada per smettere – evidenzia -. Il fumo fa male, nella sigaretta c’è la nicotina che dà dipendenza e c’è il tabacco che contiene sostanze cancerogene. La combustione è la cosa più dannosa perché rilascia le sostanze più dannose. Sicuramente il l’obiettivo di cardiologi e oncologi è far smettere di fumare ma osserviamo che una percentuale rilevante di pazienti, anche dopo un evento patologico, non vuole smettere di fumare neanche dopo un counseling psicologico – svela il professore -. In questo caso – conclude – avere delle alternative che riducono il rischio può essere interessante e deve essere preso in considerazione dalla comunità scientifica».

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