Salute 4 Ottobre 2023 07:28

“Return to work”: lavorare dopo il cancro si può

L’Associazione Onconauti e la Polizia di Stato hanno lanciato il progetto per favorire il reintegro professionale e sociale delle donne che hanno ricevuto una diagnosi di tumore. Circa il 50% delle nuove diagnosi di cancro sono in età lavorativa, ogni anno circa 100mila persone si aggiungono ai quasi 1,5 milioni di “pazienti-lavoratori” oncologici rientrati al lavoro dopo un tumore

“Return to work”: lavorare dopo il cancro si può

Le donne che ricevono una diagnosi di tumore, spesso, nonostante superino la malattia, si trovano discriminate sul posto di lavoro. Ed è proprio per favorire il loro reintegro professionale e sociale che l’Associazione Onconauti e la Polizia di Stato hanno lanciato il progetto “Return to work”.  Il Piano Oncologico Nazionale e il Piano Nazionale di Prevenzione, oltre a sottolineare l’importanza degli stili di vita salutari e del recupero del benessere nel follow-up oncologico, identifica negli ambienti di lavoro veri e propri “setting” di prevenzione. «Serve un ampio consenso tra Istituzioni, Società scientifiche, Aziende e Associazioni del Terzo Settore che favorisca una comunicazione tra Oncologi, MMG e Medici Competenti, e percorsi riabilitativi di ‘Return to Work’ dedicati al recupero funzionale delle pazienti lavoratrici – spiega Stefano Giordani, Direttore Scientifico Associazione Onconauti -. Intervenire sullo stile di vita è difficile, non bastano le raccomandazioni; servono dei percorsi di reinserimento lavorativo adeguati».

Tumori, i numeri in Italia

In Italia, stando ai dati LILT, in ogni giorno vengono effettuate 1.071 nuove diagnosi di tumore e 496 perdono la vota a causa di una patologia oncologica. Ma è in costante aumento anche il numero di donne operate al seno che sopravvivono a un tumore e convivono con gli effetti collaterali: un report del National Health Institute USA (JAMA Oncology, Aprile 2023) evidenzia che negli ultimi 20 anni il numero di pazienti oncologici lungo-sopravviventi con limitazioni causate dalle terapie oncologiche è aumentato fino a raggiungere il 70% nel 2018. Per affrontare le conseguenze psico-sociali ed economiche di questa condizione, l’Associazione dei pazienti Onconauti ha realizzato in collaborazione con le Istituzioni sanitarie pubbliche un metodo di riabilitazione con interventi integrati sullo stile di vita che si è rivelato efficace, riproducibile e a basso costo. Già sono state coinvolte oltre duemila pazienti.

Le lavoratrici oncologiche

In Italia, circa il 50% delle nuove diagnosi di tumore vengono eff­ettuate in età lavorativa e ogni anno circa 100mila persone si aggiungono ai quasi 1,5 milioni di “pazienti-lavoratori” oncologici che sono rientrati al lavoro dopo un tumore. Fra questi, le donne operate al seno costituiscono il gruppo più numeroso, con circa 30-40mila casi annui stimati di rientro al termine dei trattamenti e più di 800mila lungo-sopravviventi, che spesso hanno difficoltà nel reinserimento lavorativo. «Lo studio sulle donne operate al seno, promosso dall’Associazione Onconauti a Bologna, ha documentato per la prima volta che il 42% ha riscontrato un reinserimento problematico per sintomi psichici e fisici secondari ai trattamenti che dopo un anno tendono a cronicizzare; il 6% non rientra più al lavoro, anche a causa di discriminazioni – sottolinea  Giordani –. Negli ultimi 10 anni un numero sempre maggiore di pazienti per ridurre l’incidenza di recidive a distanza eff­ettua terapie ormonali preventive fino a 7-10 anni dopo la diagnosi, e usa farmaci biologici per 2-3 anni. Inoltre, sempre più donne con malattia metastastica sono ormai da considerarsi lungo-sopravviventi e possono rientrare al lavoro, pur dovendo eseguire terapie ormonali, farmaci biologici e chemioterapia per il resto della vita. Sulle spalle dei Medici Competenti grava quindi un’enorme responsabilità, che non è però supportata da strumenti adeguati, in quanto nessuno ha mai misurato l’impatto psico-sociale e le conseguenze sulla capacità lavorativa di questa nuova realtà clinica».

Il progetto degli Onconauti

Il metodo di riabilitazione integrata oncologica validato da oltre dieci anni dall’Associazione Onconauti riduce ansia, depressione, dolore, affaticamento e migliora l’efficienza psico-fisica. «Il metodo della nostra associazione consiste in trattamenti non farmacologici che si sono dimostrati di provata efficacia scientifica – continua il Direttore Scientifico Associazione Onconauti -. Ai pazienti viene offerto un programma personalizzato di attività come lezioni di yoga, agopuntura o shiatsu, riflessologia e Qi Gong, interventi sullo stile di vita per stabilire un’alimentazione salutare e svolgere attività fisica regolare, ricevere supporto psicologico (arteterapia, mindfulness, ecc) e, in caso di necessità specifiche, sedute di fisioterapia. La combinazione di questi tre elementi (trattamenti integrati, stile di vita corretto, supporto psicologico) in un percorso della durata di tre mesi ha dimostrato il miglioramento della qualità di vita e dei sintomi nell’86% dei partecipanti, che possono così riprendere l’attività lavorativa. Questi interventi, conferma la letteratura scientifica, sono inoltre anche in grado nei tumori più frequenti di ridurre il rischio di recidiva della malattia e aumentano la sopravvivenza. Fondamentali in questo percorso risultano la tecnologia per la Teleriabilitazione, la presenza sul territorio e la personalizzazione degli interventi».

Il contributo della Polizia di Stato

«Siamo lieti di dare ospitalità a questa iniziativa, che rientra appieno nell’attività della struttura medica che abbiamo nell’ambito della polizia – evidenzia Fabrizio Ciprani, direttore centrale della sanità della Polizia di Stato -.  Nella Polizia di Stato  siamo impegnati nel recupero dei pazienti oncologici: se lo fa la polizia che è una realtà con compiti operativi, tanto più si può fare in ambiti dove vi siano incarichi impiegatizi. È molto importante favorire questi processi in quanto il lavoro è una terapia in sé e aiuta psicologicamente le donne che abbiano avuto un tumore e nel nostro ambito – conclude – cerchiamo di incentivare questo processo».

 

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