Salute 29 Agosto 2022 15:07

Colpito da arresto cardiaco si salva grazie al gas Argon. Primo caso al mondo

Lo studio del Policlinico di Milano, su un uomo di 60 anni, tornato a casa in perfette condizioni, verrà esteso nei prossimi mesi a 50 soggetti selezionati per dimostrare fattibilità ed efficacia. Ristagno (Dipartimento Anestesia e Rianimazione ed Emergenza Urgenza e docente di Anestesia Uni Milano): «L’Argon agisce sulle membrane dei mitocondri e li rende più resistenti alla carenza temporanea di ossigeno»

Colpito da arresto cardiaco si salva grazie al gas Argon. Primo caso al mondo

Ogni anno in Italia si verificano circa 60 mila arresti cardiaci, le statistiche dicono che solo l’8% dei pazienti sopravvive senza gravi conseguenze neurologiche o disabilità. Una corsa contro il tempo, dunque, che potrebbe aver trovato un prezioso alleato nel gas Argon. Secondo uno studio in atto al Policlinico di Milano, infatti, questo gas sarebbe in grado di cambiare radicalmente le prospettive di guarigione nelle persone vittime di un arresto cardiaco, in quanto preserverebbe il più possibile il cervello dei pazienti, limitando di molto i danni neurologici e migliorando sensibilmente il recupero delle funzioni cognitive.

Primi test sugli animali nel 2012

Lo studio, partito nel 2012 da una intuizione di Giuseppe Ristagno, anestesista del dipartimento di Anestesia-Rianimazione ed Emergenza Urgenza del Policlinico di Milano, con Silvio Garattini e Roberto Latini dell’istituto di ricerca Mario Negri, in dieci anni di ricerche scientifiche ha dato risultati promettenti sugli animali, per essere oggi sperimentato sull’uomo. È lo stesso Ristagno a spiegare come un gas inerte presente nell’atmosfera sia in grado di proteggere i neuroni. «Abbiamo scoperto che questo gas estremamente stabile ha un’azione diretta sulle membrane dei mitocondri, ovvero le centraline energetiche di tutte le nostre cellule rendendole più resistenti alla carenza temporanea di ossigeno».

Col gas Argon il 70% dei casi trattati il recupero è completo

Durante il blackout causato dall’arresto cardiaco, dunque, i neuroni sono i primi ad andare in sofferenza, causando successivamente la morte delle cellule che li contengono. «Durante i nostri studi su modelli animali – riprende Ristagno – abbiamo visto che nel corso di un arresto cardiaco la mortalità delle cellule contenute nei neuroni si attesta al 70%, invece nei soggetti trattati col gas Argon solo il 30 percento subisce comunque dei danni cerebrali, mentre nel 70% dei casi il recupero neurologico è completo». La sperimentazione sull’uomo, dopo il successo riscontrato nel primo caso trattato al Policlinico di Milano, è oggi nella fase 3 e vedrà impegnati nei prossimi mesi 50 pazienti selezionati per dimostrare la fattibilità del trattamento e indagare l’efficacia. «Siamo convinti dell’efficacia di questa terapia e ci aspettiamo sull’uomo un miglioramento del recupero neurologico fino al 40% rispetto ai pazienti non trattati col gas Argon. Essere in grado di proteggere il cervello da danni così gravi può cambiare radicalmente la prospettiva di cura e di vita dei pazienti che purtroppo incorrono in un evento purtroppo così debilitante», conclude Ristagno.

 

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