Arriva una svolta che apre le porte alla medicina di precisione anche per l’obesità: non è più una condizione generica ma un mosaico di quattro differenti fenotipi che richiedono approcci terapeutici mirati. “L’eterogeneità dei pazienti obesi è particolarmente evidente sia nelle loro caratteristiche cliniche che nella risposta agli interventi quali diete, farmaci, dispositivi e interventi chirurgici. La novità è di aver catalogato l’obesità in quattro fenotipi, ossia il complesso delle caratteristiche di un organismo che risultano dall’interazione fra la sua costituzione genetica e l’ambiente – spiega il Prof. Francesco Giorgino – . Questa classificazione rappresenta un cambiamento di paradigma nel trattamento dell’obesità, permettendo di abbandonare l’approccio “taglia unica” a favore di strategie terapeutiche personalizzate basate sulle caratteristiche specifiche di ciascun paziente.
La ricerca, presentata durante il Congresso ‘Panorama Diabete’ a Riccione, ha identificato quattro distinti fenotipi, ciascuno con caratteristiche uniche che richiedono interventi mirati:
“L’obesità è una forma di malnutrizione per eccesso, ma ha un’origine che riconosce una complessità di fattori alimentari, genetici, emotivi e sociali. Per questo risulta così difficile intervenire – spiegano gli esperti – .Esiste una stretta relazione tra apparato digerente e sistema nervoso centrale: l’equilibrio di questa via di comunicazione può essere alterata da numerosi fattori. Su questa complessità si innestano i fenotipi il cui riconoscimento permette una medicina sempre più personalizzata”.
L’identificazione dei quattro fenotipi sta rivoluzionando l’approccio terapeutico all’obesità. “Non si tratta più di applicare lo stesso protocollo a tutti i pazienti, ma di personalizzare gli interventi in base al fenotipo predominante. Questo significa che il trattamento può essere adattato alle caratteristiche biologiche specifiche del paziente, aumentando significativamente le probabilità di successo e riducendo il rischio di ricadute” rimarca la Prof.ssa Raffaella Buzzetti, Presidente SID. Gli esperti della SID hanno fornito esempi pratici: per il fenotipo “cervello affamato” risultano più efficaci interventi farmacologici mirati ai recettori della sazietà (come i moderni GLP-1 agonisti) e strategie nutrizionali che privilegiano alimenti sazianti a bassa densità calorica. Per il fenotipo “intestino affamato”, sono indicati pasti più frequenti ma di volume ridotto e ricchi di fibre, che rallentano lo svuotamento gastrico. Nel caso della “fame emotiva”, il trattamento deve integrare il supporto psicologico con tecniche di ‘mindful eating’, mentre per i soggetti con “combustione lenta” è essenziale combinare l’ottimizzazione dell’apporto proteico con un programma di attività fisica mirato all’incremento della massa muscolare.
I singoli fenotipi, inoltre, si riflettono in modo significativo anche sul rischio di sviluppare diabete di tipo 2. In particolare, i fenotipi “intestino affamato” e “combustione lenta” sembrano associati a un rischio aumentato di insulino-resistenza. Nel primo caso, le frequenti oscillazioni glicemiche dovute ai pasti ravvicinati determinano un sovraccarico funzionale del pancreas. Nel secondo, la ridotta massa muscolare compromette uno dei principali tessuti responsabili dell’utilizzo del glucosio.
Tra i gruppi considerati ad alto rischio di complicanze, emergono i pazienti con fenotipi misti che combinano “combustione lenta” e “intestino affamato”, soprattutto se presentano adiposità viscerale predominante. Questi soggetti mostrano un profilo metabolico particolarmente sfavorevole, con elevati livelli di infiammazione sistemica e maggiore predisposizione alla steatosi epatica non alcolica, oltre che al diabete. La particolare distribuzione del grasso a livello addominale, infatti, è associata a una maggiore produzione di citochine pro-infiammatorie e a un’alterata regolazione ormonale.
Il fenomeno dei “metabolicamente sani ma obesi” (MHO – Metabolically Healthy Obesity) rappresenta circa il 10-30% della popolazione obesa totale, con una prevalenza che varia significativamente in base all’età. Tuttavia, gli esperti sottolineano che questa condizione di equilibrio metabolico raramente persiste nel tempo. Studi longitudinali dimostrano che entro 5-10 anni, circa il 50% dei soggetti inizialmente classificati come MHO sviluppa alterazioni metaboliche. È possibile che gli individui mostrino fenotipi misti o non appartengano a nessuno dei quattro gruppi identificati. Tuttavia, l’identificazione di questi modelli biologici rappresenta un passo fondamentale verso un approccio terapeutico
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