Salute 3 Febbraio 2023 16:48

Maladaptive daydreaming, quando la fantasia fa rima con patologia

Nasce la prima associazione per persone che soffrono di questo disturbo, in attesa che venga inserito nel DSM

Maladaptive daydreaming, quando la fantasia fa rima con patologia

Si chiama “maladaptive daydreaming” il disturbo psicologico (in italiano “sogni ad occhi aperti”) noto anche come disturbo da fantasia compulsiva, ancora poco conosciuto, che porta chi ne soffre a fantasticare in maniera disfunzionale. I maladaptive daydreamer arrivano a vivere vere e proprie vite parallele nella loro mente, ricche di dettagli e sfumature, tanto da risultare più intense ed emozionanti della loro vita reale. Vita reale che, inevitabilmente, subisce le conseguenze di questo sdoppiamento. Il termine “maladaptive daydreaming” è stato coniato dal massimo esperto mondiale di questo disturbo, il professor Eli Somer, docente di Psicologia Clinica all’università di Haifa in Israele. Attualmente si attende che venga approvato l’inserimento di questo disturbo nel manuale DSM, come proposto dal mondo accademico impegnato nello studio del maladaptive daydreaming.

Dalle community alla prima associazione italiana

Intanto, proprio in Italia è nata la prima associazione di “pazienti”, Maladaptive Daydreaming Italia, dall’esigenza di mettere a sistema le numerose community online su cui si confrontano le persone che riconoscono di avere questo disturbo. Abbiamo intervistato la presidente dell’associazione, Valeria Franco, per saperne di più. «Una delle caratteristiche più singolari di questo disturbo sta nel procedimento inverso rispetto a quello che si ha normalmente per gli altri disturbi di natura psicologica o psichiatrica. Se in questi ultimi casi il soggetto non riesce in generale, ad autodiagnosticarsi correttamente un disturbo, o ad ammettere di averlo, nel maladaptive daydreaming i soggetti sono perfettamente consapevoli di quale sia il loro disagio, ma non hanno una categoria clinica in cui inserirlo – esordisce la presidente ai nostri microfoni. Nonostante esistano dei criteri di valutazione per classificare il maladaptive daydreaming – sottolinea  i professionisti non riescono ancora a diagnosticarlo. Nel frattempo, il nostro impegno è anche nel promuovere awareness nei confronti di questo disturbo».

Fantasticare non ha nulla di patologico, la dipendenza sì

«Il nocciolo della questione è proprio questo – spiega ancora la dottoressa Franco – se la fantasia induce la persona a crearsi una vita parallela, da cui è dipendente e che arriva a impattare e a mettere in ombra la vita reale, abbiamo il maladaptive daydreaming. Chiariamo una cosa: poter fantasticare a quel livello, immersivo e con emozioni reali e continuative, di per sé è una capacità, non un problema. Il problema scaturisce quando questa stessa capacità crea dipendenza e urgenza. Alcune persone hanno questa capacità, ma non ne sono dipendenti. Il maladaptive daydreamer, invece, non riesce a farne a meno, e questo interferisce con la sua vita personale, professionale, accademica».

L’identikit del maladaptive daydreamer

«Ad oggi è impossibile tracciare un quadro epidemiologico preciso del problema – osserva la presidente – tuttavia il 75% delle persone che arriva a noi è di sesso femminile. Questo potrebbe però dipendere da una maggiore propensione delle donne a cercare aiuto in presenza di un problema psicologico. Mentre la fascia d’età che riscontriamo più frequentemente è quella tra i 20 e i 30 anni. Per vari motivi: prima dei vent’anni, nell’adolescenza, il maladaptive daydreaming potrebbe non rappresentare un problema, ed essere percepito come un semplice fantasticare sulla propria vita futura. Dopo, la vita comincia, ma ci si rende conto che si continua a fantasticare. È in questa fase che si realizza che qualcosa non va: diventa difficile tenere il ritmo dello studio o del lavoro, e ci si accorge che gli altri iniziano a vivere la propria vita mentre il maladaptive daydreamer resta indietro. Dopo i 30 anni invece, il carico di responsabilità da lavoro e famiglia, gli obblighi, tendono a far rientrare sotto controllo il problema. Il punto però è che se si passa tutto il poco tempo libero a fantasticare, il problema resta».

Un esempio classico di maladaptive daydreaming

«Per esemplificare – spiega Franco – un tipico caso di maladaptive daydreaming è questo: una ragazza conosce un ragazzo, le piace, ma non inizia un relazione con lui. Inizia però a fantasticare, e man mano quel ragazzo diventa una sorta di involucro, un attore che presta la sua fisicità ad una persona totalmente immaginaria, che la ragazza si costruisce “su misura” per lei. Questa fantasia può durare per anni, in maniera totalmente scollata dalla realtà. Magari quella giovane donna inizierà una relazione con qualcuno, ma continuerà a fantasticare. Insomma, la vita si compie ma il soggetto è ancora impegnato con la sua vita parallela fantasticata, tanto di impedirgli di vivere a pieno la realtà. Questo comporta un bagaglio di sensi di colpa, e più avanti, dai 40 anni in poi, la sensazione di aver sprecato la propria vita, di avere dei buchi nella percezione del proprio vissuto guardandola a ritroso. In altri casi altrettanto frequenti le storie possono non avere nessun riferimento alla realtà, ma prendere ispirazione da libri, film o videogiochi, che possono fare da trigger nei confronti del disturbo».

Il supporto e la condivisione: le attività dell’associazione

«Il nostro valore fondante è l’accoglienza – afferma la presidente – Vogliamo che chiunque si rivolga a noi si senta “normalizzato” nel suo disagio. Abbiamo una community manager che coordina i volontari attivi anche sui social media, perché molte persone ci scrivono su Tik Tok, su Instagram, abbiamo un forum dove i nostri utenti possono scrivere, e abbiamo anche la “stanza del lunedì”: una videocall di confronto a cui i soci possono partecipare senza impegno né necessità di preavviso o obbligo di essere visibili, moderata dai nostri volontari, a scopo di condivisione. Forniamo strumenti di informazione sui tipi di psicoterapia esistenti, strumenti di counseling con esercizi da fare a casa, abbiamo una pedagogista che affianca i genitori di adolescenti o giovani adulti alle prese con questo disagio con incontri di orientamento. Abbiamo fatto un primo evento sul territorio l’anno scorso a Bologna, che vorremmo replicare quest’anno, perché è stato un successo: le persone hanno attraversato l’Italia per essere con noi. Insomma – conclude – awareness ed empowerment, per far comprendere ad ogni maladaptive daydreamer che non è solo».

 

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