Salute 22 Gennaio 2024 17:06

Chirurgia vascolare ‘di precisione’, ecco la protesi aortica ‘ritagliata’ su misura per il paziente

L’equipe di Chirurgia Vascolare del Policlinico Gemelli di Roma ha salvato la vita di un paziente di 65 anni, posizionandogli all’interno dell’arco aortico per via percutanea, ovvero senza incisioni chirurgiche, una protesi che ne ha impedito la rottura a causa di un’ulcera penetrante

di I.F.
Chirurgia vascolare ‘di precisione’, ecco la protesi aortica ‘ritagliata’ su misura per il paziente

L’aorta è l’arteria più importante di tutto l’organismo. Rifornisce di sangue tutti gli organi e i tessuti e quando si ammala si creano problemi seri. È quello che è successo a Paolo (nome di fantasia), un signore 65enne della provincia di Avellino con tanti fattori di rischio cardiovascolare, dall’ipertensione, al diabete, fino a colesterolo alto e fumo di sigaretta, che è andato a un passo dalla rottura dell’arco aortico – il primo tratto del grande vaso, situato nella parte alta del torace – per l’ulcerazione di una grossa placca aterosclerotica (ulcera aortica penetrante). La rottura dell’aorta a questo livello determina un’emorragia toracica massiva che può portare rapidamente alla morte.

L’intervento percutaneo

Quando si verifica un’evenienza del genere, a intervenire di solito è il cardiochirurgo che sostituisce l’arco dell’aorta con una protesi vascolare, suturandola alla parte sana dell’aorta. Si tratta di un intervento complesso, che prevede l’apertura del torace (sternotomia) in anestesia generale. Si esegue in circolazione extra-corporea, a cuore fermo, raffreddando il paziente. Il rischio operatorio di questo intervento è molto importante e Paolo non avrebbe potuto sopportarlo, viste le sue condizioni di salute. Per questo, durante una riunione dell’Aortic Team del Policlinico Gemelli, una equipe multidisciplinare specialistica composta da cardiochirurghi, chirurghi vascolari, cardiologi e cardio-anestesisti del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS diretto dal professor Massimo Massetti (Ordinario di Cardiochirurgia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma), si è deciso di optare per un intervento percutaneo, utilizzando un’endoprotesi.

Un intervento senza incisione chirurgica

“Si tratta di un intervento mininvasivo – spiega il professor Yamume Tshomba, Ordinario di Chirurgia Vascolare all’Università Cattolica, Direttore della scuola di specializzazione in chirurgia vascolare e direttore della UOC di Chirurgia Vascolare di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS – che non prevede la necessità di incisioni chirurgiche. L’endoprotesi vascolare utilizzata per riparare l’aorta è racchiusa in un introduttore del diametro di pochi millimetri, che viene inserito dai vasi dell’inguine, pungendo la cute, per poi risalire fino al tratto di aorta da riparare. L’endoprotesi una volta in sede viene rilasciata, per ‘foderare’ il tratto di aorta malato dall’interno, rinforzandone la parete e scongiurandone così la rottura. Quando il tratto da riparare è l’arco dell’aorta – spiega il professor Tshomba – c’è il grosso problema costituito da tre importanti tronchi arteriosi: il tronco brachiocefalico (che poi si divide in arteria succlavia destra e carotide comune destra), la carotide comune sinistra e l’arteria succlavia sinistra che non possono essere coperti dall’endoprotesi”.

Un lavoro in sinergia con l’Ospedale Universitario di Montpellier

“Per evitare di ostruire questi importanti vasi (che portano sangue al cervello e agli arti superiori), si ricorre a ditte specializzate che ‘customizzano’, cioè adattano la protesi vascolare sulla base dell’anatomia del singolo paziente, realizzando delle fenestrazioni e/o ramificazioni per permettere la perfusione dei tronchi arteriosi che nascono dall’arco aortico. Si tratta di un procedimento che richiede però qualche settimana – ricorda il professor Tshomba – e nel caso di Paolo non avevamo questo tempo a disposizione, perché la rottura dell’arco era imminente e non ci avrebbe consentito di aspettare. Per questo abbiamo contattato il più grande esperto al mondo in questo campo, il professor Ludovic Canaud, professore di chirurgia toracica e vascolare all’Ospedale Universitario di Montpellier (Francia), noto in tutto il mondo per avere la più ampia casistica in questo tipo di interventi. Il professor Canaud è venuto appositamente al Gemelli, in una situazione di urgenza, per adattare l’endoprotesi da applicare al signor Paolo”.

L’inserimento dell’endoprotesi

“La protesi vascolare è stata estratta dal suo introduttore e, in ambiente sterile – spiega il professor Giovanni Tinelli, Associato di Chirurgia Vascolare dell’Università Cattolica e responsabile della UOS di Terapie Endovascolari presso la Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS che ha partecipato all’intervento – e abbiamo creato con un elettrocauterio le fenestrazioni per consentire la pervietà dei tronchi epiaortici. In questo caso specifico abbiamo praticato delle fenestrazioni sulla protesi, la prima di 32 mm per consentire la pervietà del tronco brachio-cefalico (tronco anonimo) e della carotide comune di sinistra; la seconda di 8 mm per consentire la pervietà dell’arteria succlavia di sinistra. L’endoprotesi è stata quindi inserita di nuovo nell’introduttore, attraverso il quale l’abbiamo posizionata nel tratto di aorta a rischio rottura, mantenendo però la pervietà dei tronchi sovraortici, grazie alle fenestrazioni praticate in questo tubo di tessuto sintetico sostenuto da una struttura di metallo”.

II paziente è tornato a casa

“Di fronte a un paziente complesso – commenta il professor Massimo Massetti – è molto importante la condivisione e la discussione del caso all’interno dell’Aortic Team, ma altrettanto importante è una discussione collegiale, anche internazionale, con pionieri di alcune tecnologie. È questo il metodo di lavoro di un Team multidisciplinare, che mette in sinergia competenze e risorse al fine di proporre e realizzare una ‘Cura’ sempre più personalizzata sui bisogni del paziente”.
“Trattandosi di un intervento urgente e ‘off label’ (si chiama Physician Modifyed Endovascular Graft, PMEG) – conclude il professor Tshomba – al paziente è stato chiesto di firmare un consenso informato specifico. L’alternativa sarebbe stata probabilmente vederlo morire entro breve tempo”. Paolo oggi sta bene, è tornato nella sua casa in provincia di Avellino pochi giorni dopo l’intervento. La sua TAC di controllo è perfetta.

 

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