Perché un bagno in piscina, un momento di puro divertimento, può nuocere così tanto alla salute da richiedere un ricovero d’urgenza? Dopo il caso dei cinque bambini intossicati a Roma, nella zona della Borghesiana, l’ultimo di una lunga lista, il professore Alessandro Miani, Presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), fa chiarezza in un’intervista a Sanità Informazione. “Quello accaduto nella Capitale è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di intossicazioni chimiche legate all’utilizzo scorretto dei disinfettanti nelle piscine italiane – spiega Miani -. Si tratta di un fenomeno preoccupante, in silenzioso aumento – 184 casi in Italia negli ultimi due anni, di cui 150 concentrati nell’area di Guastalla – che chiama in causa non solo la sicurezza degli impianti ma anche la consapevolezza di chi, magari in buona fede, gestisce ambienti destinati al gioco e al benessere dei più piccoli un trend in crescita”.
Il cloro, utilizzato comunemente per disinfettare l’acqua delle piscine, può diventare tossico se gestito in modo scorretto. “L’inalazione di cloro gassoso, liberato per errore durante la miscelazione o il dosaggio delle sostanze, può provocare danni respiratori anche gravi – sottolinea il presidente della SIMA -. I prodotti impiegati – ipoclorito di sodio e di calcio, acido solforico, tricloroisocianurico – sono per lo più corrosivi e quindi classificati come pericolosi. La combinazione accidentale tra questi composti può liberare cloro gassoso, un irritante violento per le mucose umane”.
Nel caso di Roma, si ipotizza un errore nel dosaggio o nella miscelazione del cloro in una piscina privata, che avrebbe provocato l’intossicazione diretta dei bagnanti. A Guastalla, invece, nel maggio 2024, la dinamica fu differente: una reazione accidentale tra acido solforico e ipoclorito di sodio, avvenuta durante lavori di manutenzione, generò una nube tossica capace di coinvolgere decine di persone. “Due scenari diversi, ma con un punto in comune: la gestione inadeguata di sostanze chimiche pericolose”, aggiunge il professore Miani.
Non è un caso che siano spesso i bambini ad avere la peggio: “Le vie respiratorie più strette, la pelle più sensibile e la tendenza a ingerire acqua durante il gioco rendono i piccoli particolarmente vulnerabili – aggiunge il Presidente della Sima -. I primi sintomi si manifestano spesso nel giro di pochi minuti: bruciore agli occhi, alla gola e alla bocca, irritazione delle mucose, tosse insistente, conati di vomito, senso di oppressione toracica. Nei casi più severi possono sopraggiungere edema polmonare, insufficienza respiratoria, crisi asmatiche acute e, più raramente, convulsioni o stato confusionale”.
L’intossicazione può avvenire non solo per inalazione, ma anche per contatto diretto con la pelle o per ingestione accidentale dell’acqua. “E se l’esposizione è massiva o prolungata in ambienti poco ventilati, le conseguenze possono essere ancora più gravi, fino a richiedere il ricovero in terapia intensiva. I bambini affetti da asma o allergie respiratorie sono particolarmente a rischio. In presenza di un’ingestione significativa di acqua contaminata, si possono sviluppare ulcere gastriche, vomito persistente, disidratazione e, in rari casi, shock”, continua il professore Miani.
In caso di intossicazione è bene non perdere la calma e agire il più in fretta possibile. “Il bambino deve essere portato subito in un ambiente ventilato. Spogliarlo degli indumenti bagnati, lavando la pelle con acqua tiepida. Questi piccoli gesti sono già utili al contenimento del danno – assicura Miani -. Non offrire cibi o bevande, soprattutto se il bambino lamenta nausea o difficoltà a deglutire. Se compaiono difficoltà respiratorie, alterazioni dello stato di coscienza o sintomi gastrointestinali persistenti, è necessario recarsi immediatamente al pronto soccorso”, dice l’esperto,
La normativa italiana, definita dall’Accordo Stato-Regioni del 2003 e da successive integrazioni regionali, stabilisce valori ben precisi per la concentrazione di cloro libero residuo: da 0,7 a 1,2 mg/L per le piscine private, da 1,0 a 1,5 mg/L per quelle pubbliche e fino a 2,0 mg/L per le vasche dedicate ai bambini. Livelli superiori, tollerati solo in casi eccezionali, possono causare irritazioni cutanee, oculari e danni alle superfici. “Tuttavia, può bastare una dose sbagliata, una centralina guasta o una reazione inattesa tra cloro e sostanze organiche come urina o sudore, per alterare l’equilibrio chimico dell’acqua e generare composti volatili irritanti. Per aumentare di 1 mg/L il cloro in un metro cubo d’acqua, servono poco più di un grammo di tricloro isocianurato o quasi 9 ml di ipoclorito di sodio liquido: quantità ridotte, ma dal potenziale dirompente se impiegate senza le dovute precauzioni”, spiega il Presidente della Sima.
Questo non deve tradursi in un allarme diffuso o in una rinuncia al bagno in piscina, piuttosto in una maggiore sensibilizzazione sulla necessità di compiere poche azioni semplici ma decisive: “Monitorare quotidianamente i parametri dell’acqua, utilizzando dispositivi di dosaggio automatico affidabili e, soprattutto, conoscere le proprietà chimiche dei prodotti utilizzati, può davvero evitare il peggio – conclude Miani -. Bisogna essere vigili sempre, affinché un gesto di superficialità non trasformi un momento di gioia in un danno alla salute”.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato