Prevenzione 5 Giugno 2025 11:31

Cambiamenti climatici, anche la pelle “paga il conto”

Temperature sempre più elevate, inquinamento atmosferico, eventi climatici estremi e acqua contaminata stanno contribuendo a cambiare il raggio di azione della dermatologia: gli esperti della SIDeMaST lanciano l’allarme
Cambiamenti climatici, anche la pelle “paga il conto”

Il cambiamento climatico non è solo una minaccia per l’ambiente, ma anche una crescente emergenza sanitaria con impatti tanto diretti quanto indiretti sulla pelle. A lanciare l’allarme sono gli esperti della SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse) che, in vista del Congresso Nazionale SIDeMaST Special Edition 2025 – organizzato nell’ambito del XIV International Congress of Dermatology (Roma 18-21 giugno) – evidenziano come l’aumento delle temperature, l’inquinamento atmosferico e l’intensificazione di eventi climatici estremi stiano compromettendo in modo significativo la salute della pelle. Il riscaldamento globale ed i danni da UV L’esposizione prolungata a temperature elevate e radiazioni ultraviolette intensificate aumenta il rischio di scottature, invecchiamento precoce e tumori cutanei. La diminuzione dello strato di ozono è un fattore aggravante: si stima che ogni calo dell’1% dello spessore dell’ozono comporti un incremento dell’1-2% dei melanomi, fino al 4,6% dei carcinomi squamocellulari e del 2,7% dei carcinomi basocellulari (Parker, 2020).

I danni dei raggi UV

“Le radiazioni ultraviolette sono un noto fattore di rischio per i tumori della pelle e la loro intensificazione a causa del cambiamento climatico può aggravare ulteriormente questa problematica (Lin et al., 2019) – spiega la Prof.ssa Annunziata Dattola, Professore Associato di Dermatologia all’Università Sapienza di Roma e Segretario Generale dell’ICD – inoltre, l’alterazione della composizione atmosferica, con un incremento delle sostanze inquinanti e una riduzione dello strato di ozono, contribuisce a un’esposizione maggiore ai raggi UV, rendendo la prevenzione ancora più cruciale per la protezione della pelle e la riduzione dei casi di melanoma ed altri tumori cutanei. Gli scienziati del clima hanno dichiarato che la gravità del riscaldamento futuro è legata al volume di gas serra rilasciati. Se il volume di emissioni di gas serra continua la sua rapida ascesa, gli esperti prevedono che entro il 2100 la temperatura globale sarà di 5-10,2 gradi Fahrenheit più calda rispetto alla media del 1901-1960 (Climate Change)”.

L’aria che respiriamo si riflette sulla pelle

L’impatto dell’inquinamento atmosferico – potenziato dai cambiamenti climatici – non si limita all’apparato respiratorio. La pelle è costantemente esposta all’ambiente e risente in modo diretto dell’aumento di particolato, ossidi di azoto e altre sostanze tossiche, che compromettono la barriera cutanea e favoriscono condizioni come acne, eczema e infiammazioni croniche (Balato et al., 2013; Dayrit, J, 2018). “La ricerca – prosegue la professoressa Dattola – ha dimostrato che l’inquinamento atmosferico non solo aggrava le condizioni preesistenti, ma può anche contribuire all’insorgenza di nuove patologie cutanee, rendendo la pelle più suscettibile a infezioni e allergie. L’incidenza delle malattie cutanee infiammatorie e infettive aumenta in modo significativo dopo eventi meteorologici estremi come inondazioni e ondate di calore”.

Allergie cutanee in aumento: la CO₂ favorisce i pollini

Temperature più alte e concentrazioni elevate di CO₂ stimolano la crescita di piante allergeniche, aumentando la presenza di pollini nell’aria. Un rischio concreto per chi è predisposto alle allergie cutanee, con manifestazioni come orticaria e dermatiti allergiche (Schachtel et al., 2020). “Le condizioni climatiche mutevoli possono influenzare la distribuzione geografica di allergeni e patogeni, rendendo le persone più vulnerabili a nuove forme di allergie e infezioni cutanee (Coates & Norton, 2020) – aggiunge l’esperta – basti pensare che l’aumento dell’umidità relativa e delle precipitazioni in alcune regioni sta anche favorendo la proliferazione di muffe e acari della polvere, con conseguente aggravamento di dermatiti atopiche e altre condizioni allergiche della pelle. La dermatite atopica soprattutto in età pediatrica colpisce i bambini tra il 5 ed il 20% (Parker, 2020). Studi indicano un aumento del 14-31% nei ricoveri d’emergenza per dermatite atopica dopo inondazioni (Chen et al., 2021) e ad un incremento del 20-40% delle esacerbazioni della dermatite atopica e della psoriasi nelle aree urbane (Fadadu et al., 2023)”.

Clima e pelle: il freddo estremo non è meno pericoloso

Non solo il caldo, ma anche le temperature rigide rappresentano un rischio. In Cina, è stato osservato un aumento del 160% delle visite per dermatite atopica quando la temperatura scende sotto lo zero rispetto alla media ottimale di 22,8°C. In Giappone, uno studio su oltre 100.000 bambini ha rilevato che una bassa pressione di vapore atmosferico accresce del 26% il rischio di sviluppare dermatite atopica nei primi tre anni di vita (Yokomichi et al., 2022).

Acqua e igiene: risorse in crisi

Il cambiamento climatico compromette anche la disponibilità e qualità delle risorse idriche, fondamentali per la salute della pelle. La scarsità d’acqua e la contaminazione delle fonti aumentano il rischio di infezioni cutanee, specialmente dopo eventi catastrofici come le alluvioni – che non risparmiano più il nostro Paese, in particolar modo in alcune regioni centro-settentrionali. “Senza accesso ad acqua pulita e sicura – ha aggiunto la Prof. Dattola – le persone sono più vulnerabili alle infezioni cutanee. L’acqua contaminata può contenere batteri patogeni e sostanze chimiche nocive che possono alterare il microbioma cutaneo predisponendo la pelle a irritazioni, infezioni fungine e infiammazioni croniche”.

Una chiamata all’azione: strategie sanitarie e ambientali unite

Serve un approccio integrato per affrontare questi rischi, sottolineano gli esperti SIDeMaST: “Gli effetti del cambiamento climatico sulla pelle sono molteplici e complessi, interconnessi da vari fattori ambientali – conclude il Prof. Giuseppe Argenziano, presidente SIDeMaST – è quindi necessario adottare misure di mitigazione e adattamento per affrontare queste sfide e proteggere la salute dermatologica della popolazione. Strategie di prevenzione, come l’uso di filtri solari avanzati, la protezione dall’inquinamento e il miglioramento delle abitudini igieniche, devono essere integrate con politiche ambientali volte a ridurre le emissioni di gas serra e migliorare la qualità dell’aria”. In conclusione, aggiungono i Prof. Argenziano e Dattola: “Promuovere la consapevolezza e l’educazione sulla cura della pelle in un’epoca di cambiamenti climatici è essenziale per prevenire rischi e migliorare il benessere delle persone. Al contempo, è fondamentale che la ricerca scientifica prosegua nell’analisi degli effetti ambientali sulla salute della pelle, al fine di sviluppare soluzioni innovative per proteggerla e prevenire patologie dermatologiche”.

 

 

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