Il microbiota intestinale, ovvero l’insieme di tutti quei microrganismi che si trovano all’interno dell’apparato digerente, come batteri, virus, funghi e parassiti, non interagisce solo con ciò che mangiamo, ma anche con l’ambiente in cui viviamo. Questa nuova connessione – tra l’intestino e il mondo che ci circonda – è stata svelata in una ricerca tutta italiana, presentata a Roma in occasione del World Digestive Health Day 2025, nel corso dell’iniziativa “L’armonia invisibile: il microbiota tra ambiente e salute”. Lo studio, frutto della collaborazione tra il Policlinico e l’Università Campus Bio-Medico di Roma, il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e il National Biodiversity Future Center (NBFC), ha coinvolto 130 soggetti: pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD), da sindrome dell’intestino irritabile (IBS) e soggetti sani.
Gli scienziati hanno condotto quest’analisi con l’obiettivo di esplorare come il microbiota intestinale venga influenzato non solo da dieta e farmaci, ma anche da fattori ambientali e comportamentali come qualità del sonno, livelli di stress, relazioni sociali, ritmo di vita e persino stimoli sonori e musicali. “Non è solo questione di cosa mangiamo – spiega Michele Cicala, direttore dell’Unità operativa complessa di Gastroenterologia del Policlinico –. La nostra flora intestinale riflette anche come viviamo”. In particolare, lo studio ha evidenziato che chi risiede in ambienti rurali presenta una maggiore biodiversità microbica rispetto a chi vive in contesti urbani, segno di un microbiota più sano e resiliente. E il dato trova ulteriore conferma nei livelli di zonulina fecale: più alti in chi non segue una dieta mediterranea, questi valori sono indicatori di una barriera intestinale compromessa, vulnerabile a infiammazione e disfunzioni.
Ma la vera novità arriva dall’analisi dei profili molecolari, in particolare dei microRNA – minuscole sequenze di RNA che modulano l’espressione dei geni e regolano funzioni immunitarie e infiammatorie. Alcuni microRNA, come il miR-24 e il miR-923, risultano alterati nei pazienti con IBD, suggerendo un ruolo diretto nei meccanismi della malattia e aprendo la strada a futuri approcci terapeutici personalizzati. “Parliamo di medicina di precisione – conclude Cicala –. Comprendere l’interazione tra ambiente, stile di vita e microbiota ci consente di progettare interventi su misura per ciascun paziente, sia in termini di prevenzione che di trattamento”.
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