Se una donna in dolce attesa si ritrova a vivere la drammatica esperienza di un disastra naturale, il bambino che porta in grembo ne conserverà il ricordo. Ma non si tratta di immagini che affollano la mente, ma di segni neurologici, paragonabili a delle ‘cicatrici’ nel cervello. A mettere in guardia è uno studio pubblicato su Plos One e condotto da un team della City University di New York, che ha indagato l’impatto dell’esposizione prenatale a eventi climatici estremi sullo sviluppo cerebrale dei bambini.
La ricerca si è concentrata su un gruppo di 34 bambini di otto anni, le cui madri erano incinte durante l’uragano Sandy, la tempesta devastante che nel 2012 ha colpito duramente New York e le zone costiere circostanti. Attraverso sofisticate tecniche di imaging cerebrale, gli scienziati hanno rilevato un significativo aumento del volume nei gangli della base, aree profonde del cervello cruciali per la regolazione delle emozioni.
A fare da “acceleratore” a questi cambiamenti neurologici è stata la combinazione tra lo stress indotto dalla tempesta e le ondate di caldo estremo – con almeno un giorno sopra i 35 gradi – vissute durante la gravidanza. “Una tempesta neurologica perfetta”, come la definisce la ricercatrice principale Yoko Nomura, che evidenzia come il caldo da solo non basti a modificare il cervello, ma quando si somma al trauma dell’evento meteorologico estremo amplifica gli effetti sullo sviluppo.
Il responsabile dello studio, Donato DeIngeniis, sottolinea la gravità del fenomeno: “Stiamo osservando come il cambiamento climatico possa rimodellare il cervello della prossima generazione prima ancora che questi bambini facciano il loro primo respiro. Il loro cervello porta cicatrici invisibili, conseguenze di disastri climatici che non hanno vissuto in prima persona”. Il lavoro apre uno scenario inquietante e al tempo stesso cruciale per la salute pubblica globale: in un mondo dove eventi meteorologici estremi sono sempre più frequenti e intensi, i costi nascosti per la salute mentale e lo sviluppo emotivo dei più piccoli rischiano di crescere in modo esponenziale. Di qui l’appello a integrare nelle politiche climatiche e sanitarie anche la dimensione neuropsicologica dei danni ambientali, puntando su prevenzione, monitoraggio e supporto alle donne in gravidanza nelle aree più a rischio.
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