Voci della Sanità 9 Agosto 2021 15:51

Piano Nazionale Sociale 2021-2023, l’allarme del CNOP: «Assistenti sociali lasciati soli, per un ‘welfare di valore’ serve sinergia con gli psicologi»

«Si lasciano di fatto soli gli assistenti sociali perchè si sottolinea l’importanza e la necessità che ci siano competenze psicologiche nel sociale ma poi questa figura non viene prevista nei servizi» spiega il presidente CNOP David Lazzari

Il Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi David Lazzari spiega quali sono le caratteristiche che dovrà contenere il nuovo Piano Nazionale Sociale 2021-2023, che vedrà la luce in autunno. Il Presidente del CNOP apprezza l’obiettivo che il Piano  si pone, quello di passare da un approccio ai singoli aspetti e problemi ad un “approccio alla persona”, ma sottolinea la necessità avere in organico più professionisti: più assistenti sociali ma anche più psicologi sociali nei servizi territoriali. Il testo dell’intervento:

«La Psicologia – spiega Lazzari – è da sempre portatrice di un modello di benessere e salute basato sulla qualità degli equilibri che la persona costruisce, in una logica circolare, con se stessa e con il contesto (gli altri, la comunità, la società, l’ambiente). Del resto la scienza ha confermato che la salute è una realtà dove si incontrano tre dimensioni: biologica, psicologica e sociale. E la psiche svolge, evolutivamente, una fondamentale funzione di sintesi e modulazione tra gli aspetti biologici e sociali. Non solo, la psiche non si limita a “mettere insieme” biologia e società ma aggiunge esigenze, bisogni e proprietà nuove e specifiche. Insomma, l’insieme è più della somma delle singole parti: pensare che ognuno di noi, ogni persona, sia semplicemente la somma delle sue proprietà biologiche e delle condizioni “oggettive” del contesto è più che riduttivo, è falso. E ci consegna una visione dell’essere umano impoverita, frammentata, robotizzata, e i risultati si vedono nella spirale benessere materiale e malessere psicologico che caratterizza le nostre società. Quindi la persona, e la comunità come insieme di persone, non possono essere lette solo in base ai determinanti biologici e sociali».

«Questo è il rischio che corre il Piano Nazionale Sociale che è in definizione in queste settimane da parte del Ministero delle Politiche Sociali, delle Regioni e dei Comuni. Il Piano, che ha una valenza 2021-23, detta gli obiettivi e linee di azione dello Stato e degli Enti Locali nel campo dei servizi sociali, ha quindi una valenza molto importante, soprattutto alla luce della pandemia e della necessità di un welfare rinnovato e di prossimità, proattivo, che è emerso con forza. I servizi sociali, come la scuola, la sanità, il supporto al lavoro, fanno parte di quelle “infrastrutture sociali” che sono importanti quanto i trasporti o le politiche economiche per lo sviluppo ed il benessere della società. Sono fondamentali per promuovere il capitale umano, che conta come quello finanziario per il futuro di un Paese».

«Il Piano si pone un obiettivo importante, quello di passare da un approccio ai singoli aspetti e problemi ad un “approccio alla persona”: ricondurre al centro la persona, nella sua unità, e i suoi bisogni, superando l’ottica categoriale incentrata sull’inquadramento e la riduzione delle persone in condizioni di bisogno all’elemento che più ne può caratterizzare la fragilità. Va perciò rovesciata la logica della risposta sociale. Il punto di partenza di ogni intervento sociale poggia su tre pilastri: il diritto ad una vita dignitosa di ognuno, l’attenzione al contesto familiare, la valorizzazione e la cura del contesto. Si tratta, in altre parole, di essere attenti alle “condizioni personali” di chi ha o potrebbe avere problemi. I fattori di rischio sociale, è bene sottolinearlo, riguardano tutti, in ogni età, in ogni luogo, in ogni condizione. Tuttavia, concentrandosi sulla storia di ognuno è possibile intervenire perché siano affrontati, anche preventivamente, disagi e difficoltà».

«Si vuole operare nel sociale la stessa svolta che si sta cercando di realizzare in sanità: guardare alla persona che ha la malattia e non alla malattia avulsa dalla persona, non solo ad un corpo anonimo ma all’unità psicofisica dell’individuo. Non è solo etica, attenzione, è questione di efficacia e costi-benefici. Se non si fa questa svolta, nei servizi del welfare, in sanità, nella scuola, nel lavoro, non avremo modelli sociali che reggeranno a lungo: è indispensabile questa “transizione umana”».

«Qual è il problema del Piano Sociale? È che non da le giuste gambe a queste premesse. Si lasciano di fatto soli gli assistenti sociali perchè si sottolinea l’importanza e la necessità che ci siano competenze psicologiche nel sociale ma poi questa figura non viene prevista nei servizi. Sembra che si pensi che debbano essere chiamati gli unici psicologi pubblici esistenti, cioè quelli del servizio sanitario. Ma, oltre a non tener conto che gli psicologi non sono tutti uguali, che esistono gli psicologi sociali e di comunità, la cosa è come il sogno di una notte di mezza estate, vista la carenza tragica di psicologi in sanità».

«Una cosa è pensare alla collaborazione tra sociale e sanitario e una cosa è pensare che questo si realizzi chiedendo alla professione psicologica (e solo a quella peraltro) un nomadismo irrealizzabile. La soluzione è quella che si sta concretizzando, giustamente, per gli assistenti sociali presenti strutturalmente sia nel sistema sanitario che nei servizi sociali. Solo una presenza specifica in entrambi i contesti può garantire la massima collaborazione tra professionisti e servizi, la giusta sinergia tra contesti e attività, entrambi centrati su un approccio alla persona».

«Da anni ci battiamo contro il riduzionismo nelle cure, che riduce la persona ad un corpo anonimo, oggi dobbiamo batterci contro un riduzionismo nel sociale, che riduce la persona ad una somma di bisogni parziali: non siamo solo corpi e non siamo solo diseredati o bisognosi! Ci serve un nuovo welfare, che è di valore perché capace di dare valore alle persone, visto come investimento e non solo come antico retaggio di funzioni marginali di stampo pietistico e paternalistico. Che ha bisogno del terzo settore ma anche di una rete di servizi pubblici, con le professionalità necessarie: servono più assistenti sociali ma serve anche la presenza di psicologi sociali in questi servizi, come il Piano stesso riconosce senza dare però strumenti coerenti».

«Le 24 società scientifiche di area psicologica riunite nella Consulta Nazionale presso il CNOP, hanno prodotto in questi giorni un documento “UN WELFARE PER LA PERSONA E LA COMUNITÀ – Proposte per il Piano Nazionale Sociale” che approfondisce questi temi. Lo abbiamo inviato al Ministro Orlando, che ha manifestato la sua sensibilità per queste problematiche, alle Regioni e ai Comuni. Ne parleremo anche ai prossimi appuntamenti di settembre: il convegno nazionale della Società Italiana di Psicologia di Comunità e quello della Sezione di Psicologia Sociale della Associazione Italiana di Psicologia (AIP). La Comunità scientifica e professionale della Psicologia da tempo sottolinea la necessità di un Welfare rinnovato, se ne è fatta interprete anche la collega Elisabetta Camussi nella Task Force del Governo per la pandemia. Speriamo che la politica e le istituzioni si aprano ad un confronto costruttivo su queste tematiche».

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