Si chiama punteggio di rischio poligenico, o Pgs, ed è il risultato del più grande studio genetico mai condotto sull’obesità. L’idea è semplice, ma potente: “leggere” nel genoma di un bambino il rischio futuro di sviluppare obesità e, in base a quel punteggio, attivare interventi personalizzati prima ancora che i fattori ambientali, come alimentazione e stile di vita, inizino a influenzare il peso. Lo studio è stato pubblicato su Nature Medicine e ha coinvolto oltre 600 scienziati in tutto il mondo. Più di cinque milioni di dati genetici analizzati hanno permesso di costruire uno strumento predittivo che potrebbe cambiare radicalmente il paradigma della prevenzione.
“Ciò che rende il Pgs così efficace è la sua capacità di predire, prima dei cinque anni d’età, se un bambino è a rischio di sviluppare obesità in età adulta – spiega Roelof Smit, professore dell’Università di Copenaghen e autore principale della ricerca -. Intervenire in questa fase può avere un impatto enorme, perché ci permette di agire prima che altri fattori di rischio inizino a influenzare il peso più avanti nell’infanzia”. Il test è in grado di spiegare il 17% della variabilità dell’indice di massa corporea negli adulti e fino al 35% nei bambini. Valori molto superiori rispetto a quelli di qualunque altro strumento predittivo genetico finora disponibile.
Il lavoro è parte del consorzio Giant (Genetic Investigation of Anthropometric Traits), un’iniziativa scientifica internazionale che da anni studia i determinanti genetici di altezza e indice di massa corporea (Bmi). Lo studio ha incluso anche dati italiani, grazie al contributo di tre centri del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) – tra Napoli, Cagliari e Pavia – che hanno fornito i profili genetici di due popolazioni a bassa mescolanza del Cilento e della Sardegna. La raccolta e l’analisi dei dati ha coinvolto anche la società statunitense 23andMe.
C’è però un punto critico. Il punteggio genetico è oggi più preciso per le popolazioni di origine europea e asiatica, e meno accurato per quelle africane. È una questione nota nella genomica, che risente della scarsa rappresentazione di alcune etnie nei grandi database genetici mondiali. “Servono punteggi etnicamente specifici”, spiegano gli autori, per garantire equità e precisione.
La World Obesity Federation prevede che entro il 2035 oltre metà della popolazione mondiale sarà in sovrappeso o obesa. Un’emergenza globale che richiede nuove strategie. In questo senso, il Pgs rappresenta un’opportunità concreta per intervenire presto, prima che il rischio si traduca in malattia. Ma attenzione: la genetica non è un destino. Sapere di avere un rischio elevato non significa essere condannati. “La conoscenza può guidare strategie di prevenzione personalizzate”, ribadiscono i ricercatori. L’obiettivo è agire nella finestra più efficace – quella dei primissimi anni di vita – quando il percorso metabolico è ancora in divenire.
“L’obesità è un importante problema di salute pubblica, con molti fattori che contribuiscono al suo sviluppo, tra cui la genetica, l’ambiente, lo stile di vita e il comportamento. Questi fattori probabilmente variano nel corso della vita di una persona e crediamo che alcuni di questi abbiano origine nell’infanzia. Siamo stati lieti di contribuire con i dati dello studio Children of the 90s a questa ricerca eccezionale e approfondita sull’architettura genetica dell’obesità. Speriamo – conclude Kaitlin Wade, professore associato di epidemiologia presso l’Università di Bristol e seconda autrice della ricerca – che questo lavoro contribuisca a rilevare le persone ad alto rischio di sviluppare l’obesità in età precoce, che potrebbe avere un vasto impatto clinico e sulla salute pubblica in futuro”.