Lavoro e Professioni 19 Aprile 2024 15:10

Psichiatri SIP: “A un anno dalla morte della psichiatra Capovani, nessuna risposta concreta per aumentare la sicurezza sul lavoro

In un anno nessuna risposta concreta per aumentare la sicurezza dei luoghi di lavoro. Lo denuncia la Società italiana di psichiatria (SIP), in vista dell’anniversario della morte della psichiatra Barbara Capovani, uccisa un anno fa da un paziente all’esterno dell’ospedale in cui lavorava
di V.A.
Psichiatri SIP: “A un anno dalla morte della psichiatra Capovani, nessuna risposta concreta per aumentare la sicurezza sul lavoro

In un anno nessuna risposta concreta per aumentare la sicurezza dei luoghi di lavoro. Lo denuncia la Società italiana di psichiatria (SIP), in vista dell’anniversario della morte della psichiatra Barbara Capovani, uccisa un anno fa da un paziente all’esterno dell’ospedale in cui lavorava. “È passato un anno dalla sua morte. Un anno in cui, a parte frasi di circostanza, il problema psichiatria in Italia – dichiara Liliana Dell’Osso, presidente eletto SIP – e della sicurezza dei dipartimenti (e dei centri di salute mentale di conseguenza) è rimasto sepolto sotto un mare di dichiarazioni senza soluzioni reali. Perché la violenza quotidiana cui sono sottoposti operatori, infermieri, psicologi e medici psichiatri ormai è diventata impossibile da quantificare, visto che le denunce non danno alcun riscontro, salvo in casi drammatici come questo o in caso di ricovero”.

Ogni anno oltre 2mila casi di violenza in sanità

Secondo l’Inail, ogni anno sono oltre 2mila i casi di violenza in sanità. Seimila nel triennio 2020-2022, con un incremento del 14% sul triennio precedente consentendo un conto facile sul 2023: circa 2300 casi, di cui altrettanti più lievi e non denunciati ma non per questo meno importanti. Di tutti questi il 34% avviene in ambito psichiatrico con un 21 al pronto soccorso secondo i dati di Anaao-Assomed. Tra le problematiche aperte l’abolizione della Circolare Lamorgese sul divieto di intervento delle forze dell’ordine negli ambiti di pronto soccorso e nei reparti, una decisione che ha deluso e lasciato soli i medici e i sanitari di fronte alle aggressioni e reso ulteriormente difficile la gestione dei pazienti violenti nei reparti di psichiatria.

Psichiatri preoccupati per la gestione dei pazienti violenti

“Certamente la Circolare Lamorgese sul divieto di intervento delle forze dell’ordine nei pronto soccorso e nei reparti ha deluso i medici e reso ulteriormente difficile la gestione dei pazienti violenti nei reparti di psichiatria”,  precisa Emi Bondi, presidente SIP. “A fianco si trovano i problemi di gestione del pronto soccorso, dell’emergenza e delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), scambiate per ospedali psichiatrici giudiziari, come se la legge 81, che ne ha decretato la chiusura, non fosse mai esistita. Insomma, il ruolo che si sta tornando a dare alla psichiatria di gestore dell’aggressività, fa sì che sempre più spesso – continua – i sanitari siano chiamati ad occuparsi di tutta la devianza sociale, senza discriminazione fra chi è veramente un malato psichico che ha bisogno di cure rispetto a chi e solo un violento”.

Risorse insufficienti per rispondere ai bisogni di salute mentale

“Certamente una Legge piena di buone intenzioni ma applicata poco e male, e peggio gestita nonostante l’impegno del personale medico e infermieristico”, commenta Guido Di Sciascio, segretario nazionale SIP. “A fare da denominatore comune l’attribuzione allo psichiatra del ruolo di ‘carceriere’ con compito di controllo ‘sociale’ del paziente. Tutto ciò che Basaglia, nella sua lucida lungimiranza, aveva fatto in modo di cancellare per sempre con la sua Legge”. Specifica Dell’Osso: “La psichiatria di questi ‘anni 20’ del nuovo millennio non ha nulla a che fare con quella degli anni Settanta dello scorso secolo. La società è cambiata, enormemente, le patologie psichiche sono cresciute di numero, poiché vengono diagnosticate con più precisione e più precocemente. Le cure sono state rivoluzionate, eppure… eppure le risorse sono rimaste ferme, almeno rispetto ai bisogni di salute mentale di questa nuova società”. Conclude Bondi: “E così si chiudono i servizi territoriali e ospedalieri per la salute mentale, si contraggono i posti letto nei reparti sempre pieni, con il risultato di una fuga sempre più marcata dal servizio pubblico, che non riesce più a trovare il personale, soprattutto medici e infermieri necessario a mantenere i servizi in grado di rispondere alle esigenze dei pazienti”.

 

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