Hollywood ha plasmato il modo in cui le persone immaginano un infarto: qualcuno che si stringe il petto e crolla drammaticamente. Ma queste rappresentazioni sono fuorvianti e dovrebbero essere evitate. A dirlo è Ann Eckhardt, professoressa di infermieristica e ricercatrice presso l’Università del Texas ad Arlington. “Ci siamo fatti un torto negli anni ’80 e ’90 con quello che è noto come ‘l’infarto di Hollywood’”, spiega. “Purtroppo non è la vita reale. Non è sempre intenso. A volte – continua – è solo un fastidio che non ci fa sentire bene, quindi le persone tendono ad aspettare prima di consultare un medico. Più si aspetta, più è probabile che si abbiano conseguenze negative dopo l’infarto”.
Eckhardt e i suoi colleghi stanno lavorando per fare chiarezza, iniziando a capire come il pubblico percepisce il dolore toracico. In un recente articolo pubblicato sulla rivista Heart & Lung, esplorano i luoghi comuni più diffusi sui sintomi dell’infarto. Un mito diffuso, osservano i ricercatori, è che l’infarto abbia un aspetto drasticamente diverso negli uomini rispetto alle donne. “Un tempo si diceva che gli uomini avessero sintomi tipici e le donne atipici”, dice Eckhardt. “Ora stiamo cercando con tutte le nostre forze di abbandonare questo linguaggio. Il sintomo più comune – prosegue – per uomini e donne è a carico del torace. Abbiamo creato confusione dicendo che le donne sono in qualche modo completamente diverse”.
Cambiare la percezione pubblica non è facile, ma è una missione che guida Eckhardt e i suoi colleghi. Tre anni fa, ha contribuito a sviluppare il “Chest Pain Conception Questionnaire” per aiutare a determinare come le persone comuni percepiscono gli attacchi di cuore. Lo studio ha rivelato che circa il 75% degli intervistati aveva ricevuto informazioni sull’infarto da fonti quali TV o film, evidenziando la necessità di materiali informativi più chiari e accurati sul dolore toracico e sui sintomi correlati. “Spesso diciamo alle persone che il dolore al petto è un sintomo di infarto, ma quello che non diciamo è cosa potrebbero realmente provare”, dice Eckhardt. “Per molte persone, non è dolore nel senso tradizionale del termine. È più un fastidio, una pressione, una costrizione. Semplicemente non si sentono bene, ma non riescono a capire esattamente cosa”, aggiunge.
Questa incertezza spesso spinge le persone a rimandare la ricerca di assistenza medica. “Più si aspetta, più è probabile che si subiscano danni cardiaci irreversibili”, spiega Eckhardt. “Quindi, se riusciamo a determinare come le persone immaginano un infarto, forse possiamo aiutare la comunità medica a gestire meglio il triage e a porre domande. Non si tratta solo di ‘Hai dolore al petto?’; ma anche di ‘Hai fastidio, pressione, costrizione, costrizione?’”, aggiunge. Eckhardt è determinata a fornire un messaggio chiaro e preciso sull’argomento. È un obiettivo che l’ha guidata per tutta la sua carriera: ricorda di essere stata alle medie quando suo nonno fu portato d’urgenza in ospedale dopo un infarto. Fortunatamente, subì un intervento di bypass coronarico e visse per altri 20 anni. “Quell’esperienza ha suscitato il mio interesse fin da subito”, conclude Eckhardt.
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